Non è mai stato semplice far parte della comunità italiana. Tra le nostalgie d’Italia e l’adattamento alla nuova terra, tra tradizioni da conservare e nuove abitudini da accettare, c’è sempre stata una certa fatica.
Ma oggi, ciò che davvero ci complica la vita non viene da fuori. Viene da dentro. È il chiacchiericcio. Quella tendenza tutta nostra a parlare degli altri, a commentare, a fare ipotesi, a interpretare – spesso male – le intenzioni altrui.
Non è una novità: le comunità piccole sono così. Tutti sanno tutto di tutti, o credono di saperlo. Ma il problema comincia quando il chiacchiericcio smette di essere folklore e diventa un freno. Quando diventa un modo per sminuire, per bloccare, per delegittimare chi cerca di fare qualcosa di diverso, di nuovo, di utile. Invece di sostenere le iniziative, ci si chiede cosa ci sia dietro. Invece di valorizzare i talenti, si cerca il difetto, lo scheletro, il dettaglio.
E nel frattempo, chi si impegna, chi lavora per un progetto, chi prova a costruire, si ritrova a dover lottare non solo contro le difficoltà concrete, ma contro il giudizio sommario dei “si dice”.
Questo giornale non è nato per fare il moralista, ma per raccontare. E oggi, raccontare onestamente la nostra comunità significa anche avere il coraggio di dire che il chiacchiericcio è una piaga che frena le iniziative, divide le famiglie, fa fuggire i giovani, e alimenta un clima di sfiducia logorante.
A tutto questo si aggiunge un’altra abitudine altrettanto tossica: il servilismo. Quel modo di fare che porta molti a cercare sempre la protezione di chi ha potere, a schierarsi con chi comanda, a dire “sì” anche quando sarebbe il caso di dire “no”. Si fanno complimenti esagerati, si lodano iniziative mediocri, si chiude un occhio su errori evidenti, purché si resti dentro il giro giusto. Ma diciamocelo con franchezza: questo atteggiamento non ci ha mai resi migliori. Anzi. Ha scoraggiato persone valide, ha mantenuto in piedi dinamiche stanche, ha fatto passare per “autorevoli” figure che in altri contesti non avrebbero avuto credibilità.
La verità è che potremmo fare molto di più e molto meglio, se solo smettessimo di preoccuparci tanto di cosa si dice e di chi bisogna compiacere. E cominciassimo invece a guardarci negli occhi, con un po’ più di onestà.
