di Angleo Paratico
Bella Ciao è una bella canzone, orecchiabile e allegra, che rimanda alle imprese compiute dai partigiani, che lasciarono le proprie ragazze per andare a far la guerra all’invasor.
Potremmo dire che è come Itaca di Lucio Dalla, che ci rimanda all’Odissea di Omero, ma checché se ne dica, Ulisse non cantò mai Itaca.
Come spesso accade in quel mondo al contrario che è l’Italia, poco importa che quella canzone non riguardi la guerra di liberazione. Infatti, nel Paese della bella figura ciò che conta è la sensazione personale, i dettagli e la verità non contano.
Giorgio Bocca disse che: “Bella ciao … canzone della Resistenza e Giovinezza … canzone del ventennio fascista … Né l’una né l’altra nate dai partigiani o dai fascisti, l’una presa in prestito da un canto dalmata, l’altra dalla goliardia toscana e negli anni diventate gli inni ufficiali o di fatto dell’Italia antifascista e di quella del regime mussoliniano … Nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare Bella ciao, è stata un’invenzione del Festival di Spoleto”. E Gianpaolo Pansa aggiungeva che: “Bella ciao. È una canzone che non è mai stata dei partigiani, come molti credono, però molto popolare”.
Negli anni ‘60 fu avvalorata l’ipotesi che si trattasse di un canto delle mondine di inizio XX secolo, a cui “I partigiani” avrebbero cambiato le parole. In effetti, una versione “mondina” di “Bella ciao” esiste ma è anch’essa una falsa leggenda posteriore.
Anche per la musica, a parte il testo, esiste molta confusione circa la sua origine.
Non è un fatto chiaro, come nel caso della Marsigliese, l’inno nazionale francese, dove non esistono dubbi, anche se ai francesi rode assai, fu composta dal piemontese Viotti.
Qualcuno dice che Bella Ciao fosse una vecchia canzone popolare veneta o dalmata. L’unica certezza è che la traccia più antica risale al 1919, in un rarissimo 78 giri del fisarmonicista tzigano Mishka Ziganoff, intitolato Klezmer-Yiddish swing music. Il Kezmer è un genere musicale Yiddish in cui confluiscono vari elementi, tra cui la musica popolare slava; perciò, l’ipotesi più probabile sull’origine della melodia è proprio quella della canzone popolare veneto-dalmata, come intuì Bocca.
Citiamo Luigi Morrone uno storico che ha investigato l’origine di questo canto e ne ha scritto: “Il testo “partigiano” quando comparve la prima volta?
Ognuno la racconta a modo suo. Ma al fine di colmare la lacuna dell’assenza di prove documentali, per retrodatare l’apparizione della canzone partigiana, molti richiamano la “tradizione orale”, ma non vi è alcuna fonte documentale che attesti che “Bella ciao” sia stata mai cantata dai partigiani durante la guerra. Anzi, vi sono indizi pesanti, precisi e concordanti, che portano ad escludere una tale ipotesi.
Tra i partigiani circolavano fogli con i testi delle canzoni da cantare, ed in nessuno di questi fogli è contenuto il testo di Bella ciao. Viene poi inserita dall’Unità il 25 aprile 1957 in una breve raccolta di canti partigiani e ripresa lo stesso anno da Canti della Libertà, supplemento al volumetto Patria Indifferente, distribuito ai partecipanti al primo raduno nazionale dei partigiani a Roma.
Nel 1960, la Collana del Gallo Grande delle edizioni dell’Avanti, pubblica una vasta antologia di canti partigiani.
Il canto viene presentato con il titolo O Bella ciao a p. 148, citando come fonte la raccolta del 1955 dei giovani socialisti di cui si è detto e viene presentata come derivata da un’aria “celebre” della Grande Guerra, che “Durante la Resistenza raggiunse, in poco tempo, grande diffusione”.
Come si è detto, sul piano documentale, non si ha “traccia” di Bella ciao prima del 1953, momento in cui risulta comunque piuttosto diffusa, visto che da un servizio di Riccardo Longone apparso nella terza pagina dell’Unità del 29 aprile 1953, apprendiamo che all’epoca la canzone è conosciuta in Cina ed in Corea. La incide anche Yves Montand, ma la fortuna arriderà più tardi a questa canzone oggi conosciuta come inno partigiano per antonomasia.
Come dice Bocca, sarà il Festival di Spoleto a consacrarla. La contraddittorietà delle testimonianze, l’assenza di fonti documentali prima del 1953, rendono davvero improbabile che il canto fosse stato intonato durante la guerra civile. Ritornando al punto di partenza, come sostengono Bocca e Panza, “Bella ciao” non fu mai cantata dai partigiani.
Ma il mito di “Bella ciao” come “canto partigiano” è così radicato, da far accompagnare il funerale di Giorgio Bocca proprio con quel canto che egli stesso diceva di non aver mai cantato né sentito cantare durante la lotta partigiana.
Qualcuno ha sostenuto che il successo di “Bella ciao” deriverebbe dal fatto che non è “targata”, come potrebbe essere “Fischia il vento”, il cui rosso “Sol dell’Avvenir” rende il canto di chiara marca comunista. “Bella ciao”, invece, abbraccerebbe tutte le “facce” della Resistenza (Guerra patriottica di liberazione dall’esercito tedesco invasore; guerra civile contro la dittatura fascista; guerra di classe per l’emancipazione sociale).
Concludiamo con le parole di Marcello Veneziani: “Il primo fascismo era nato e cresciuto nelle trincee della Prima guerra mondiale nel culto dannunziano della bella morte, tra arditi, teschi, camicie nere, culto degli eroi caduti.
Alla fine della sua vita, a Salò, ritornò la concezione della bella morte, legata alla visione guerresca e dannunziana”.
Una canzone famosa a Salò in quel periodo fu: “Le donne non ci vogliono più bene, perché portiamo la camicia nera” ecco, anche gli ex fascisti (tutti i partigiani lo erano stati) anni dopo s’inventarono una canzone per raccontare di aver mollato le loro belle, per non essere stati da meno dei fascisti.
