Silvia Salis “La Superba” per il PD del dopo-Schlein?

Il Partito Democratico è una casa in perenne ristrutturazione. Muri abbattuti e ricostruiti, stanze aperte al “campo largo” e porte sbattute in faccia ai compagni di ieri. In questo scenario instabile, prende sempre più forma la figura di Silvia Salis, sindaca di Genova e ormai candidata ufficiosa a “nuova leader” del centrosinistra italiano. I suoi estimatori sono trasversali: da Franceschini a Renzi, da La7 ai salotti di Repubblica. La domanda è legittima: è lei il futuro del Pd post-Schlein?

Salis piace perché è tutto e il contrario di tutto. Ex atleta olimpica, cattolica, femminista, madre, moglie, attenta al look ma dura nella battaglia ideologica. Porta avanti istanze identitarie – sportelli LGBTQIA+, registrazioni anagrafiche per coppie omogenitoriali – ma le riveste di pragmatismo amministrativo. 

Parla di diritti ma anche di “tenacia” e “strategia”, mutuando un linguaggio sportivo e operativo. Un mix che seduce gli orfani della Leopolda, i delusi del movimentismo schleiniano e persino certi reduci della sinistra sindacale. In altri tempi si sarebbe detto “un’anima democristiana in corpo progressista”.

Salis nasce a Genova nel 1985. Laureata in Lettere moderne, è stata una delle migliori martelliste italiane: 12 volte campionessa nazionale, ha partecipato a due Olimpiadi, Pechino 2008 e Londra 2012. Dopo il ritiro dall’attività agonistica, è entrata nel Consiglio Nazionale del CONI, di cui è diventata vicepresidente. Una carriera sportiva intensa, seguita da un’altrettanto rapida ascesa istituzionale. 

Nel 2020 ha sposato il regista Fausto Brizzi, dal quale ha avuto un figlio, Eugenio, che oggi porta soltanto il cognome materno. Una scelta simbolica ma anche profondamente politica, che ha fatto discutere e che Silvia rivendica come atto di coerenza con i suoi valori. “A casa nostra – ha dichiarato in un’intervista – vige un matriarcato puro”. Il suo matrimonio, spesso osservato dalla stampa con curiosità, è diventato una piccola estensione del suo universo valoriale: moderno, femminista, mediatico. 

La sua ascesa è meticolosamente accompagnata da endorsement ben calibrati. Franceschini, abilissimo nel fiutare il vento, la spinge con garbo. Renzi, più impaziente, la celebra apertamente. Saviano la saluta in teatro, Landini la stringe a corteo. Persino Brizzi, marito-regista e ex guru della comunicazione renziana, appare come regista non solo nella vita privata. Tutto suona troppo perfetto, al limite dell’ingegneria politica. Non a caso qualcuno ironizza: pare disegnata in laboratorio. E se anche fosse?

Il punto è proprio questo: il Pd ha bisogno di una figura costruita per vincere, non solo per testimoniare. Elly Schlein ha rappresentato una svolta generazionale e simbolica, ma non ha mai convinto come leader capace di costruire consenso reale. La narrazione fluida di Salis, invece, sembra fatta apposta per catturare anime diverse, ricucire fratture, sedurre media e moderati. Ma reggerà al confronto con Giorgia Meloni? O si limiterà a esserne la controfigura patinata?

Salis potrebbe essere il volto nuovo per un Pd che sogna di tornare al centro, senza rinunciare alla bandiera dei diritti. Ma attenzione: la costruzione di un leader non è solo una questione d’immagine. Serve profondità, radicamento, visione. E serve anche una cosa che oggi, nella politica italiana, pare più rara del consenso: autenticità.

Nel frattempo, Genova diventa laboratorio e palcoscenico. E il Pd, ancora una volta, attende il suo “nuovo inizio”. Con la speranza che non sia solo l’ennesima replica.