Un Trevisano racconta Covolo e le vittime della guerra

Un racconto indelebile di Domenico Pizzaia, testimone lucido delle atrocità della guerra e custode delle storie dimenticate di Covolo, alle pendici del Grappa
Nel silenzio ovattato del Villaggio Scalabrini di Bexley, dove l’età avanzata porta i suoi ospiti a confrontarsi con la memoria e la solitudine, ci sono voci che ancora risuonano forti, capaci di attraversare il tempo. 

Una di queste è quella di Domenico Pizzaia, 94 anni portati con fierezza e lucidità straordinaria, che oggi decide di condividere i ricordi più profondi e dolorosi della sua infanzia vissuta a Covolo, una piccola frazione di Pederobba, nel Trevigiano. Domenico è una presenza abituale nei vialetti del villaggio. Ogni giorno, tempo permettendo, esce per le sue camminate regolari, ama fare le parole crociate e leggere il settimanale Allora! così come giornali inglesi. 

Gli piace osservare la vita nei supermercati, la gente che si incontra e conversa. “Niente mi fa più felice che incontrare qualcuno che conosco”, ripete spesso, aggiungendo con un sorriso disarmante: “Non avrei mai pensato di arrivare a questa età e godere ancora della vita”.

Ma dietro il sorriso si celano ricordi incancellabili. Alcuni frammenti d’infanzia, racconta, si dimenticano facilmente. Altri, quelli segnati dal dolore e dalla guerra, restano impressi per sempre.

Nel febbraio 2024, leggendo sul notiziario dell’associazione Trevisani nel Mondo – di cui è membro da decenni – un articolo che celebrava le medaglie d’oro al valore civile del comune di Pederobba, Domenico si è sentito toccato nel profondo. L’articolo ha riaperto le ferite mai del tutto guarite della Seconda guerra mondiale, che lo hanno colpito da bambino e che, fino a quel momento, aveva tenuto dentro di sé.

Covolo, il suo paese natale, visse giorni drammatici sotto l’occupazione nazista. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, i tedeschi presero possesso di due ville: Villa Coletti, trasformata in comando militare, e Villa Brocken del conte Careani. In queste ville vennero rinchiusi giovani locali sotto i vent’anni, presi in ostaggio come rappresaglia contro eventuali atti partigiani.

Proprio in quelle ville, sotto la minaccia dei bombardamenti, molti cercavano rifugio nei sotterranei adibiti a frigoriferi naturali, una sorta di bunker. 

Ma fu proprio lì che si consumò una delle tragedie più cruente. Domenico racconta con voce tremante: “Era settembre 1943. Quando gli aerei americani bombardarono la zona, una delle bombe colpì il bunker. 

Dentro si erano rifugiate circa venti persone. Nessuno sopravvisse. I corpi erano stati letteralmente fatti a pezzi, e con altri corsi sul posto cercammo di raccogliere ciò che restava”.

Aveva solo 13 anni, ma il suo ricordo è vivido come se fosse accaduto ieri. “Raccoglievamo le membra insanguinate – dice mimando ancora oggi quei gesti – e tentavamo di ricomporle vicino ai corpi, a volte riconoscibili solo dai vestiti”.  Elenca i nomi delle vittime come un rosario della memoria: Perezolo Elia, Bordin Italo, Groppo Ampelio, Caron Mario, Trinca Giovanni, Speranzon Rosa… Fu chierichetto al funerale celebrato da don Narciso Furlan, e accompagnò i corpi fino al cimitero. Un trauma che ha segnato per sempre la sua vita.

Ma quella fu solo una delle tante tragedie. Domenico ricorda altri concittadini caduti: Emilio Leo, ucciso da una mina nel cortile di casa; Vitali Romeo, colpito da una bomba lungo il Piave; Piccolo Giovanni, ucciso dai jugoslavi a Trieste; Villanova Giuseppe, ammazzato dai tedeschi il 25 aprile 1945, il giorno prima della fine della guerra. 

E poi D’Artona Giovanni, detto Biasset, annegato a Cefalonia su una nave silurata.  E ancora i giovani mai tornati dalla Russia. Tutti ragazzi di Covolo. Racconta anche dei bombardamenti che colpirono direttamente il suo paese. Il primo, il 1° settembre 1944, danneggiò il ponte tra Covolo e Vidor. Ma fu il secondo, il 18 novembre, il più tragico.

“Erano le tre del pomeriggio”, ricorda. “Una formazione di 16 caccia bombardieri sorvolò il deposito di benzina al Parco Neville, di proprietà dei Conti Caragiani Calvi. 

Le prime bombe colpirono alcuni operai, poi i velivoli mitragliarono l’intero abitato per circa un’ora. Fu un inferno.” I morti furono dodici. Quattro di Covolo: Trinca Giovanni (23 anni), Perozzo Elia (15 anni), Bordin Italo (15 anni), Groppo Ampelio (15 anni). Tre da Crocetta, tre da Nogarè, uno sfollato da Pola e un soldato tedesco. Diversi altri rimasero feriti e vennero ricoverati a Pederobba. Grazie alla sua memoria e al contatto mantenuto con compaesani come Renato Agostinetto, Domenico è riuscito a ottenere fotografie del monumento ai caduti di Covolo. 

Un tributo doveroso a quelle vittime che ancora oggi lui onora con le sue parole e i suoi gesti.

Per chi lo ascolta al Villaggio Scalabrini, Domenico non è solo un anziano con una straordinaria lucidità: è un testimone vivente della storia, un archivio umano, un uomo che ha attraversato il dolore e continua a camminare ogni giorno con dignità. 

Conclude spesso le sue chiacchierate dicendo: “Ho visto troppo, ma ho anche vissuto abbastanza per sapere quanto vale ogni momento in cui possiamo ancora respirare, camminare e parlare con qualcuno”.

E con i suoi 94 anni, Domenico Pizzaia ci insegna che la memoria, anche quando dolorosa, è un dovere di chi è sopravvissuto. E un dono per chi resta.