Quando la storia non insegna, si ripete. Con i droni russi abbattuti nei cieli polacchi, ci troviamo davanti all’ennesimo bivio: provocazione per tenere botta all’avversario o pretesto per entrare in guerra?
Gli episodi militari lungo i confini orientali dell’Europa vengono presentati come “atti di aggressione”, “violazioni senza precedenti”, “escalation”. È un linguaggio che conosciamo bene, perché appartiene a un copione già visto: dalla baia del Tonchino nel 1964, che aprì agli Stati Uniti le porte del Vietnam, fino alle inesistenti armi di distruzione di massa in Iraq nel 2003. Ogni guerra moderna nasce da un “fatto”, spesso ambiguo, che viene trasformato in giustificazione morale e politica per passare alla fase successiva.
Il rischio non è tanto l’incidente in sé, quanto la sua interpretazione. Un drone che devia rotta può diventare la miccia di un conflitto continentale. La diplomazia, che dovrebbe raffreddare gli animi, viene spesso surclassata dalla narrazione emergenziale: “la sicurezza dei cittadini è in pericolo”, “l’alleanza deve reagire”, “non possiamo tollerare ulteriori violazioni”. Così si costruisce il consenso all’intervento.
Ma la domanda che l’opinione pubblica dovrebbe porsi è un’altra: chi ha interesse a trasformare un’intrusione in casus belli? Perché il pretesto funziona solo se trova terreno fertile, fatto di paure legittime ma anche di volontà politiche pregresse.
In questo momento storico, con la guerra in Ucraina che si trascina senza sbocchi e con equilibri interni all’Occidente sempre più fragili, l’idea di un “nemico esterno” torna utile a molti governi. Allo stesso tempo, Mosca conosce bene la dinamica e sa che ogni sua azione può alimentare tensioni, dividere alleati, mettere alla prova la coesione NATO.
Il vero pericolo non è tanto il drone caduto in Polonia, quanto la tentazione – da entrambe le parti – di usarlo come strumento politico. Perché la storia ci insegna che le guerre raramente iniziano per un singolo episodio: cominciano quando qualcuno decide che quell’episodio, vero o manipolato, diventerà il pretesto giusto.
Ed è lì che l’opinione pubblica, spesso anestetizzata, si accorge troppo tardi di essere già dentro la guerra, cominciata quando il pretesto supera la ragione.
