Ci risiamo. L’ennesima presa in giro, l’ennesimo teatrino che si consuma sotto gli occhi di tutti. A pagarne le conseguenze? Sempre gli stessi: la comunità, la credibilità delle sue istituzioni e soprattutto chi prova, con fatica, a fare informazione libera.
Non giriamoci intorno: troppe pseudo-organizzazioni, che amano presentarsi come fari culturali o sociali, finiscono per comportarsi come bottegucce di provincia, dominate da rancori personali e meschine strategie di visibilità. Prima si presentano con sorrisi, inviti alla collaborazione, grandi discorsi sull’unità della comunità italiana. Poi, al primo tornaconto, tirano fuori il coltello dalla tasca e non esitano a colpire. Due pesi e due misure: a qualcuno si apre la porta in pompa magna, ad altri si nega persino un comunicato stampa. Questa non è serietà, è piccola politica da cortile.
Eppure non dovremmo stupirci. Da quando la “vecchia guardia” non c’è più – quella generazione che, con tutti i suoi difetti, garantiva un minimo di rispetto reciproco – è cominciata la corsa al bersaglio facile. Oggi il bersaglio si chiama Allora!, il giornale nato con l’intento di dare voce alla comunità senza piegarsi a interessi di bottega. Ed è proprio questa indipendenza a dare fastidio. Perché un organo di stampa libero non si controlla, non si compra e soprattutto non si mette a tacere.
È qui che scatta la strategia della derisione, della presa in giro, dell’esclusione. Ci si approfitta della buona volontà, si chiede spazio, pubblicità gratuita, copertura di eventi che altrimenti non avrebbero nessuna risonanza. Poi, appena conviene, si fa finta di nulla e si trattano i giornalisti locali come se fossero ospiti indesiderati. Un gioco sporco, che racconta molto della pochezza di certi ambienti.
La cosa più grave, però, è che questa mentalità non è un incidente isolato: è diventata un modus operandi. La cultura del favore, del “tu sì e tu no”, del decidere chi merita rispetto e chi va messo da parte. Così si uccide la comunità dall’interno, con una ferocia silenziosa che mina la fiducia reciproca. Non servono i proclami sui palchi o le foto di rito con bandiere e strette di mano. Servono coerenza e onestà intellettuale. E di queste, purtroppo, ce n’è sempre meno.
Chi oggi alza la voce viene spesso accusato di “fare polemica”. Ma cosa dovremmo fare? Tacere davanti all’ennesima vergogna? Fingere che tutto vada bene mentre assistiamo a organizzazioni che predicano inclusione e praticano esclusione? O peggio, a gruppi che parlano di “valorizzare la stampa locale” solo quando serve a loro? No, non possiamo tacere. Perché il silenzio, in questi casi, è complicità.
