di Angela Casilli
Con il benestare degli Stati Uniti di Trump, Israele, rifiutando una qualsiasi soluzione politica del problema palestinese, ha scelto la guerra permanente fino al completo svuotamento della Striscia di Gaza e all’esodo di milioni di palestinesi.
E’ il rovesciamento radicale della linea politica del premier Ariel Sharon “pace in cambio di territori” che, vent’anni fa, decise di ritirarsi dalla Striscia, cacciando con la forza migliaia di coloni ebrei che resistevano e lasciando ai palestinesi un piccolo pezzo di Stato da amministrare.
Pur di abbandonare Gaza, Sharon uomo di destra spaccò il suo partito, il Likud, ne fece uno nuovo e, non esitò ad allearsi con il laburista Peres, pur di raggiungere il suo obiettivo. La morte di Sharon e la vittoria militare-elettorale di Hamas, la cui struttura islamista e fondamentalista lascia pochi dubbi sulla vera natura della sua politica, hanno portato alla guerra di oggi.
A Netanyahu non sembrò vero, a suo tempo, di poter trasformare Gaza in un grande ghetto, consegnando la Striscia agli islamisti in cambio di nuovi insediamenti ebraici in Cisgiordania e della sconfitta dell’Autorità Nazionale Palestinese di Arafat, in sintesi del fallimento del progetto di uno Stato palestinese.
Strategia suicida quella di Netanyahu, in parte responsabile anche per la mancata efficienza dei servizi segreti, del feroce “pogrom” dei terroristi di Hamas, il 7 ottobre di due anni fa.
In questi mesi, dopo aver trasformato Gaza in una fossa comune, il premier israeliano si riprende la Striscia con una guerra che identifica il popolo palestinese con Hamas e che, per questa ragione, durerà generazioni, in barba all’obiettivo storico di Israele, che è stato dal 1948 in poi, quello di difendersi con le armi dai suoi nemici, per poter fare poi la pace con loro, come è avvenuto con l’Egitto o con la Giordania.
Tutto quello che è accaduto finora, non sarebbe mai successo senza la tacita acquiescenza, discutibilissima, degli Stati Uniti di Trump, che vivono una stagione di gran temperie.
L’eclissi della democrazia negli States si può riassumere con la battuta di un personaggio del romanzo “Fiesta” di Hemingway, cui era stato chiesto come mai era andato in bancarotta e lui aveva risposto: “In due modi.
Poco alla volta e all’improvviso”. La bancarotta per ora negli States procede lentamente, ma c’è il timore che, da un momento all’altro, accada qualcosa di drammatico.
L’orribile omicidio di Charlie Kirk, vero assassinio politico, potrebbe costituire l’antefatto di qualcosa di più terribile in un Paese dove la violenza politica, che negli anni sessanta ha mietuto vittime illustri, è tornata con una lunga serie di episodi drammatici, a dimostrare, ancora una volta, la eccessiva polarizzazione della politica interna.
Gli Stati Uniti, da sempre grandi protettori di Israele e del suo indiscutibile diritto ad esistere, sono stati anche sostenitori di una pace nel Medio Oriente, che permetta di disinnescare l’odio e la fine di ogni offensiva militare, perché in gioco è il futuro di popoli che hanno tutti una loro storia, una loro cultura, un passato e un presente di cui non si può non tenere conto.
Il riconoscimento della Palestina quale Stato indipendente dalla maggior parte dei Paesi dell’ONU, non ultimi la Gran Bretagna di Starner e la Francia di Macron, fanno ben sperare.
