Narges e la sua lotta per i diritti delle donne 

Narges Mohammadi è diventata simbolo globale della resistenza femminile in Iran, un volto della lotta contro l’oppressione, la discriminazione e l’autoritarismo. Nel 2023 le è stato conferito il Premio Nobel per la Pace “per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti”.

Nata il 21 aprile 1972 a Zanjan, in Iran, Mohammadi si laureò in fisica, ma col tempo la sua passione civile la portò a fondersi con il suo impegno politico. Fin dai primi anni del 2000, essendo divenuta membro del “Defenders of Human Rights Center”, organizzazione cofondata da Shirin Ebadi, ha sostenuto prigionieri, condannato la pena di morte, denunciato torture e violenze sessuali.

Il suo attivismo non è stato privo di conseguenze: arrestate nel corso degli anni ben 13 volte, con condanne complessive per 31 anni di prigione e 154 frustate. Al momento dell’annuncio del Nobel, Mohammadi si trovava già in carcere, nella tristemente nota prigione di Evin, a Teheran.

La designazione del Nobel ha suscitato scalpore non solo perché fosse in carcere al momento della premiazione, ma perché il suo riconoscimento è diventato un simbolo, una voce per le migliaia di donne che in Iran — e nel mondo — invocano uguaglianza, diritti e libertà. Anche da detenuta, Mohammadi ha continuato a partecipare e sostenere manifestazioni, stimolando la solidarietà e mantenendo viva la visibilità internazionale del movimento per “Women, Life, Freedom” emerso dopo la morte di Mahsa Amini nel settembre 2022. 

In una dichiarazione ottenuta dal carcere, Mohammadi ha affermato: “Non smetterò mai di lottare per la realizzazione di democrazia, libertà e uguaglianza. Il Premio Nobel mi renderà più resiliente, determinata, speranzosa ed entusiasta.” 

La comunità internazionale ha accolto il premio come un richiamo alla responsabilità verso i diritti umani in Iran, e molti osservatori sperano che la pressione diplomatica possa condurre a una sua liberazione o almeno a condizioni carcerarie più umane. 

Mohammadi non è solo una vittima della repressione: è una protagonista vivente della resistenza. Con il Nobel, il suo volto diventa uno stendardo contro chi cerca di soffocare la libertà di pensiero, di espressione e la dignità delle donne, anche (e soprattutto) dietro le sbarre.