Italia 90 e il rigore sbagliato, Serena si racconta

Il Mondiale del ’90 fu uno snodo fondamentale per Aldo Serena. Il bel gol all’Uruguay, il rigore fallito con l’Argentina: “Da quel giorno non ho più tirato rigori. In Giappone, nell’Intercontinentale del 1985, invece, il rigore l’avevo segnato, ma lì ero preparato, in Nazionale no”. Quell’esperienza lasciò in lui un segno profondo.

«Mai stato un rigorista. Finiti i supplementari, a Napoli, mi butto per terra e spero che non mi tocchi di andare sul dischetto. Poi Vicini, il ct, mi punta: “Aldo, mi mancano due tiratori. Te la senti? ” Risposta: “Mister, faccia un altro giro e nel caso ritorni da me”. 

Pochi attimi e Vicini si ripresenta, io gli dico di sì ma entro in trance agonistica. Mi alzo e sento le gambe dure, di marmo. Provo a respirare lungo, per scacciare l’ansia, ma niente. 

Quando mi incammino verso il dischetto, la porta diventa sempre più piccola e il portiere (Goycochea, un pararigori specialista) sempre più grande. Sono ai limiti dell’attacco di panico, ho paura di angolare troppo il tiro e non lo angolo abbastanza, il portiere para. Precipito in un buio totale. Non mi ricordo più nulla delle ore successive, la mia memoria riparte dalla finale per il terzo posto contro l’Inghilterra a Bari».

Da ragazzino, tra la scuola e i pomeriggi passati a lavorare nella fabbrica di scarpe di famiglia, Serena non ha mai avuto una vita facile. Aiutava il padre a realizzare calzature da montagna, e quell’ambiente operaio lo ha segnato. Quando esordì con l’Inter a San Siro, vedere gli operai sugli spalti gli diede una spinta in più. Il primo gol lo festeggiò proprio sotto il loro settore. Da piccolo tifoso interista, partecipò a un provino al Milan e tornò a casa con un poster autografato di Rivera, anche se il provino non andò come sperato. I suoi idoli? Giocatori fuori dagli schemi, come George Best e Gigi Meroni.

Il basket era l’altro suo pallino: all’oratorio si alternava tra pallone e canestro, e le partite della lega jugoslava viste in tv lo ispiravano. L’elevazione nel colpo di testa gli venne proprio da lì, anche se, dice, non aveva l’altezza per fare la differenza sul parquet.

Sull’etichetta di Agnelli, che lo definì “forte dalla cintola in su”, Serena ancora sorride: Boniperti lo difese, ricordando che la Juve aveva trovato un nuovo Bettega. Dopo quella frase, Agnelli iniziò a chiamarlo all’alba per parlare di calcio e degli avversari della domenica. Gli incontri con il presidente a Villa Perosa, poco prima delle partite, restano fra i ricordi più vividi.

Il passaggio dall’Inter alla Juve fu particolare: “Mi chiama Pellegrini per dirmi che vuole parlarmi la sera del 21 giugno. Gli dico che ho i biglietti per il concerto di Springsteen a San Siro, il primo in Italia. Alla fine, esco prima dal concerto e vado a casa sua. In quell’occasione mi comunicò la cessione alla Juve in cambio di Tardelli”. 

Al Milan, arrivò la prima volta in B, con una squadra piena di problemi ma con una tifoseria calorosa. Ricorda ancora il giorno in cui a Milanello montarono le strutture per un matrimonio, costringendo la squadra a trasferirsi in un hotel in centro. 

Tornò poi in rossonero nell’era Berlusconi, trovando una realtà completamente diversa, con strutture moderne e un’organizzazione di primo livello. I rapporti con Galliani non furono sempre idilliaci, tanto che una volta in diretta tv l’ad gli promise che non sarebbe più entrato a San Siro, ma alla fine le cose si risolsero.

Parlando di Platini, Serena dice: “Avrei voluto essere come lui, possedere la sua intelligenza e ironia. Un giorno mi disse che mi aveva voluto alla Juve perché voleva che gli appoggiassi i palloni di testa per tirare. Da allora, appena potevo, cercavo Michel”.