Quest’anno ricorre il 110° anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia nel Primo Conflitto Mondiale: dalle trattative politiche alle trincee dell’Isonzo
Nel maggio del 1915 l’Italia entrava ufficialmente nella Prima Guerra Mondiale, segnando un momento decisivo e drammatico della sua storia moderna.
Le prime settimane del conflitto avevano già mostrato come le aspettative dei comandi militari e dei politici dei paesi belligeranti fossero del tutto irrealistiche: gli eserciti si erano rapidamente attestati su linee di trincea pressoché immobili, dimostrando che la guerra sarebbe stata lunga, logorante e molto diversa da quanto inizialmente immaginato e sperato. In questo contesto, il ruolo dell’Italia, fino ad allora ai margini, iniziò a essere considerato di grande importanza strategica per il futuro equilibrio europeo e per il prestigio internazionale del Paese.
All’interno del Paese, l’idea di entrare in guerra iniziò a farsi largo. Gli interventisti, un gruppo eterogeneo di politici, intellettuali e giornalisti, cominciarono a promuovere l’ingresso nel conflitto come occasione per completare l’unificazione nazionale attraverso la conquista delle terre irredente e per affermare l’Italia come nazione coesa e potente. Allo stesso tempo, il governo italiano non voleva restare escluso dalla “politica di potenza” europea e cercava di proteggere i propri interessi territoriali e diplomatici.
Nell’inverno del 1915 furono quindi avviate trattative con la Triplice Alleanza, con Austria-Ungheria e Germania, che però rimasero senza risultati concreti. Le contropartite territoriali offerte dall’impero asburgico, seppur parziali, non soddisfacevano le richieste italiane, in particolare per Trieste e le coste dalmate.
Parallelamente, il Ministro degli Esteri Sidney Sonnino avviò negoziati segreti con i paesi dell’Intesa, anticipando la firma del Patto di Londra il 26 aprile 1915. L’accordo prevedeva l’ingresso dell’Italia in guerra a fianco di Gran Bretagna, Francia e Russia, con promesse territoriali che includevano il Sud Tirolo, il Trentino, Gorizia, Gradisca, Trieste, l’Istria, la Dalmazia, Valona e alcune isole del Dodecanneso, oltre a zone di influenza in Asia Minore e correzioni di confini in Africa. Questo atto di diplomazia segreta fu decisivo: l’Italia si preparava a entrare in guerra senza il consenso parlamentare e con una parte dell’opinione pubblica ancora incerta, ma con la ferma determinazione degli interventisti e del re Vittorio Emanuele III.
Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria. L’esercito, sotto il comando del generale Luigi Cadorna, contava circa 400.000 uomini, mentre gli austro-ungarici schieravano inizialmente 50-70.000 soldati.
Le prime operazioni lungo l’Isonzo e nelle Dolomiti furono durissime: avanzate lente, ostacolate dal terreno montuoso, dai forti avversari e dalle condizioni climatiche estreme. La guerra di posizione, già evidente dopo poche settimane, mise a dura prova la preparazione, l’equipaggiamento e il morale delle truppe italiane.
Il primo mese di combattimenti costò circa 15.000 perdite tra morti, feriti e dispersi, anticipando quella che sarebbe diventata la cifra tragica e dolorosa della partecipazione italiana.
Nei mesi successivi la guerra si sviluppò lungo molteplici fronti. Le undici battaglie dell’Isonzo, tra il 1915 e il 1917, produssero avanzamenti limitati a fronte di perdite enormi. In Carnia, nelle Dolomiti e nelle Alpi Giulie gli Alpini e le truppe austro-ungariche si fronteggiarono in scontri estenuanti, spesso a pochi metri di distanza, consolidando linee di trincea che sarebbero rimaste in gran parte immutate fino alla primavera successiva. L’autunno e l’inverno portarono pausa e immobilità, ma le condizioni in trincea peggiorarono ulteriormente: freddo intenso, scarso rancio e scarsa igiene segnarono le truppe, mentre la popolazione civile assisteva ai primi drammatici effetti della guerra.
Il 24 ottobre 1917 segnò il drammatico momento di Caporetto: un’offensiva combinata austro-tedesca costrinse l’esercito italiano a ritirarsi fino al Piave. Solo grazie alla riorganizzazione, al sostegno alleato e al coraggio dei soldati, l’Italia riuscì a stabilizzare il fronte.
La primavera e l’estate del 1918 videro l’Italia riprendere l’iniziativa: la battaglia del Piave e la vittoriosa offensiva di Vittorio Veneto tra ottobre e novembre portarono alla caduta definitiva delle linee austro-ungariche e alla fine del conflitto.
La guerra consegnò all’Italia le terre irredente e segnò il suo ingresso come protagonista sulla scena europea. L’evento fu ricordato come una pagina di grande sacrificio, dove la determinazione politica si intrecciò con la sofferenza dei soldati e delle comunità civili.
Il 110° anniversario dell’entrata in guerra ci invita a riflettere non solo sulle strategie e sugli accordi diplomatici, ma anche sul coraggio, la resilienza e le enormi perdite umane che segnarono profondamente la storia nazionale e l’identità complessa delle Forze Armate nell’Italia moderna.
