Permane il mistero sull’affondamento della corazzata Giulio Cesare

di Angelo Paratico

Conoscevo bene l’avvocato Luca Birindelli, tragicamente scomparso qualche anno fa. Egli fu un pioniere del commercio e dell’industria italiana all’estero. Intuendo che la Cina sarebbe diventata una super potenza economica, aveva aperto degli studi legali a Hong Kong, Shanghai e, incredibilmente, anche Pyongyang, in Corea del Nord. 

Un giorno, a Hong Kong, mentre eravamo a pranzo al ristorante Gaia di Paolo Monti gli chiesi, tra il serio e il faceto, se davvero suo padre avesse affondato la corazzata Giulio Cesare, che al termine della guerra era stata ceduta all’URSS. Ricordo ancora la sua espressione perché rimase con la forchettata di spaghetti a mezzaria e mi guardò sorpreso. Mi domandò di che diavolo stessi parlando. Glielo spiegai, ma lui scosse il capo, chiedendo la data del fatto. Gli dissi nella notte del 28 ottobre 1955. “Io ero in fasce, ma la data 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma, è davvero sospetta…comunque, non ce lo vedo proprio mio padre dare un bacio a mia madre, uscire di casa, incontrare Junio Valerio Borghese e gli altri, assentarsi per qualche giorno e poi tornare tranquillamente indietro, dopo aver fatto saltare una nave da guerra russa in Crimea, questo era troppo anche per lui”. Ma mi promise che avrebbe indagato con suo padre.

Qualche mese dopo, durante un suo successivo passaggio nella ex colonia britannica di Hong Kong, mi invitò per un caffè al Landmark di Central e mi raccontò che aveva parlato a suo padre e lo aveva visto stranamente evasivo e reticente, rifiutando di commentare; un fatto strano per lui, ex uomo d’azione confinato fra quattro mura a Roma e sempre alla ricerca di qualcuno con cui chiacchierare e dir male della pretaglia, per vincere la noia quotidiana. Suo padre era la medaglia d’oro Ammiraglio Gino Birindelli (1911-2008) che con Teseo Tesei, Elios Toschi, Emilio Bianchi e Luigi Durand de la Penne fece parte della flottiglia MAS e che il 30 ottobre 1940 Birindelli riuscì a penetrare nella base inglese di Gibilterra nell’ambito dell’operazione “B.G.2”. 

Ma il mezzo affondò per una avaria e Birindelli, da solo, tentò senza successo di portare la carica esplosiva sotto alla chiglia della corazzata britannica Barham, trascinandola sul fondo ma senza successo e fu catturato dai britannici. Fu liberato dalla prigionia alla fine del 1943 e si unì ai badogliani, essendo un convinto monarchico. 

Al termine delle ostilità prese il comando del Battaglione “San Marco” e della corazzata Italia. Dal luglio 1954 ebbe il comando dell’incrociatore Montecuccoli, con il quale, dal 1º settembre 1956 al 1º marzo 1957, effettuò una crociera di circumnavigazione del globo. Veniamo ora alla Giulio Cesare. Una nave di battaglia della classe Cavour, varata nel 1911 e che, dopo essere stata riammodernata nel 1937, dislocava a pieno carico 28.000 tonnellate.

Dopo l’8 settembre uscì dal porto di Polo dove l’attendeva un sommergibile tedesco ma la Sagittario gli si buttò contro speronandolo e permise alla corazzata di allontanarsi, mentre un siluro tedesco esplose sugli scogli. Mentre navigavano davanti ad Ancona si ebbe un ammutinamento del suo equipaggio, che non voleva arrendersi agli inglesi e, armi alla mano, si preparano all’autoaffondamento. 

Ma il comandante Carminati riprese in mano la situazione, giurando il falso ai propri uomini che, in caso di consegna agli inglesi, egli l’avrebbe autoaffondata. Il giorno dopo furono attaccati da Ju 87 Stuka ma la loro contraerea li respinse. Arrivati all’altezza di Taranto finirono la nafta e vennero rimorchiati in porto dagli inglesi, dove giunsero l’11 di settembre e i capi dell’ammutinamento furono arrestati.

Alla fine della guerra, l’URSS a differenza delle altre potenze vincitrici non volle rinunciare ad appropriarsi di varie unità della nostra Marina, secondo quanto stipulato nel Trattato di Parigi. Questa cessione creò un grosso malcontento fra le nostre forze armate, al punto che furono disposte ispezioni subacquee ogni mezzora per evitare che gli uomini-rana della Flottiglia MAS le facessero saltare, come avevano minacciato di fare.

Oltre alla Giulio Cesare e la Cristoforo Colombo, i russi ottennero l’incrociatore Emanuele Filiberto, i cacciatorpediniere Artigliere e Fuciliere, le torpediniere Classe Ciclone Animoso, Ardimentoso e Fortunale, e i sommergibili Nichelio e Marea, oltre al cacciatorpediniere Riboty, ed altro naviglio leggero, quali MAS e motosiluranti, varie vedette, navi cisterna, motozattere da sbarco, una nave da trasporto e dodici rimorchiatori. Addirittura, i sovietici avevano cercato di ottenere una delle nostre due moderne corazzate della classe Littorio, non ritirate da Stati Uniti e Inghilterra, e queste furono lasciate all’Italia solo dopo che garantimmo che le avremmo demolite.

La Giulio Cesare fu consegnata ai sovietici assieme all’Artigliere e a due sommergibili nel porto albanese di Valona, con 900 tonnellate di munizioni, che comprendevano anche 1100 colpi per i cannoni principali e l’intera dotazione di 32 siluri da 533mm per i due sottomarini. Il nuovo nome della nostra corazzata divenne “Novorossijsk” e fu destinata a Odessa sul Mar Nero, che raggiunse il 26 febbraio 1949. Il capo ingegnere della Difesa russa Malyšev era sfavorevole alla sua acquisizione, ritenendo la nave di limitato impiego a causa del degrado di apparati e strutture in conseguenza della limitata manutenzione cui l’unità era stata oggetto dopo la guerra e della sua vetustà. Il parere di Malyšev non venne tenuto in considerazione da Stalin che pretese la nave per ragioni di prestigio diplomatico.

La sera del 28 ottobre 1955, la Novorossijsk ormeggiò a una boa nella baia di Sebastopoli a 100 metri dalla riva. La profondità del mare era di 17 metri, con ulteriori 30 metri di melma. A bordo vi erano un migliaio di marinai. Alle ore 1:30 della notte del 29 ottobre, un’esplosione, della potenza stimata fra 3.000 e 5.000 kg di TNT sotto allo scafo squarciò la corazza, dal ponte inferiore fino al ponte del castello di prua, aprendo un enorme falla nella carena.

Subito persero la vita circa 200 uomini dell’equipaggio, alle 2:00, il comandante Ovčarov, che non conosceva a fondali del porto, ordinò di rimorchiare la nave in un punto che credeva meno profondo ma alle 2:32 la nave s’inclinò, mentre i rimorchiatori la trainavano e dopo 10 minuti, s’inclinò, affondando da prua.

Alle 4:15 si capovolse, con centinaia di marinai che si trovavano sul ponte, che caddero in acqua e che finirono schiacciati dallo scafo, mentre molti altri restarono intrappolati nei compartimenti della nave. L’imperizia degli ufficiali e l’impreparazione dei soccorsi ampliarono i termini di quella tragedia, con perdite altissime di vite umane: 604 uomini! Questo forse spiega la ritrosia di Gino Birindelli e di altri componenti di questa missione.

Mosca, dapprima, disse che c’era stato un incendio bordo, e poi parlarono di una mina tedesca non disinnescata, dimenticata in quel porto. E in effetti ne rinvennero alcune, successivamente anche se il punto di ormeggio della Giulio Cesare era già stato bonificato. 

Alcuni alti ufficiali sovietici furono degradati e puniti, ma poi cadde la cappa del segreto militare e non se ne parlò più sino agli anni Ottanta.

Alla fine di dicembre del 1999, Vladimir Putin premiò sette marinai superstiti della corazzata, decorandoli con un decreto presidenziale. L’ipotesi di un sabotaggio straniero vien giudicata plausibile da alcuni storici russi ed è stata recentemente rievocata dalla rivista russa Itoghi nel 2005, in occasione del cinquantenario dell’incidente e il giornalista Luca Ribustini nel 2014 scrisse il libro “Il mistero della corazzata russa – Fuoco, fango e sangue”, cercando di ricostruire quella vicenda e attribuendo agli uomini della Xma MAS questo affondamento.