Console per sette minuti

Negli anni ’80 il Consolato Generale d’Italia a Sydney assunse un contrattista locale, Maurizio Aloisi, con mansioni di autista, aiuto centralinista, fotocopista… In realtà, non c’erano mansioni definite e, praticamente, il nuovo assunto avrebbe dovuto fare un po’ di tutto e, in realtà, in breve tempo divenne il jolly del Consolato. 

Un giorno, impersonò addirittura il Console Generale, Dott. Alvise Memmo…

In quei tempi c’era un’atmosfera rilassata al Consolato, quasi amichevole nonostante gli impiegati riuscissero a sbrigare 80-90 pratiche durante la mattinata e ad incontrare altre 70-80 persone nel pomeriggio. Una mole di lavoro notevole, se si considera la tecnologia del tempo.

Non c’erano vetrine per ingabbiare l’impiegato, c’erano delle semplici scrivanie creando, a volte, un allegro caos collettivo. All’ingresso un bancone presso cui prendeva posto il centralinista che, praticamente, era la prima persona che incontrava chiunque entrasse in ufficio. 

Maurizio, prima di essere assunto per detta mansione, lavorava nel campo della moda e, anche in ufficio, cercava di vestire il più elegantemente possibile, tanti erano la sua passione e il rispetto per quell’istituzione, ma sapeva pure che il console Alvise Memmo dava molta importanza all’eleganza del personale. 

– Buon giorno Aloisi – disse il console entrando dalla porta principale.

– Buon giorno signor Console – rispose solerte il centralinista.

– Come va il circo oggi? – chiese il Console alludendo alla massa vociferante che riempiva la sala.

In quell’istante squillò il telefono:

– Consolato generale d’Italia a Sydney, buon giorno – rispose solerte Aloisi.

Passarono alcuni istanti e…

– Aspetti un attimo che controllo.

Memmo fece cenno di no… e Aloisi capì al volo.

– Il signor console sarà in ufficio più tardi… verso le…

Il Console Memmo fece un cenno con tre dita.

– … verso le tre.

Breve pausa e il Console s’incamminò verso il suo ufficio.

– Ovviamente le tre del pomeriggio – specificò al telefono Aloisi – anche perché alle tre del mattino si è ancora chiusi.

Non passò molto tempo che la centralina squillò illuminando il pulsante dell’ufficio del Console.

– Per servirla, signor Console – rispose Aloisi.

Breve pausa.

– Vengo subito!

Aloisi bussò alla porta e, dopo aver ricevuto il permesso, entrò nell’ufficio  del  Console  che, seduto alla sua scrivania era intento a sforbiciare una pagina di giornale.

– Quel figlio di buona signora Cicinelli ha scritto un interessante trafiletto sul mio abbigliamento – disse con voce canzonatoria Memmo, senza distogliere lo sguardo dal giornale che stava sforbiciando.

Guido Cicinelli dirigeva il periodico “l’opinione” a dir poco interessante che non si limitava a descrizioni adulatorie per le autorità come per altri organi di stampa pubblicavano, ma trovava spesso e volentieri quella gemma di umorismo che imbarazzava il destinatario.

Al contrario dei suoi colleghi, Alvise Memmo era affascinato da questa notorietà non cercata e aspettava con ansia l’uscita del giornale per farsi quattro risate.

Il trafiletto in questione era solo di poche righe, ma metteva in  discussione  l’accostamento del vestito indossato dal Console che “strideva” con la cravatta sfoggiata.

– Da quando in qua Cicinelli si ritiene uno stilista di moda? – sorrise Memmo porgendo il pezzetto di carta ritagliato ad Aloisi.

– Onestamente non credo che Cicinelli abbia mai indossato una cravatta! – esclama Aloisi in segno di solidarietà con il suo superiore, conscio che, in fatto di moda e accostamenti, pochi avevano la classe di Alvise Memmo.

– Me ne faccia quattro copie – aggiunse Memmo – questa sera ci faremo quattro risate con gli amici. E mi faccia pure un ingrandimento da esporre nella bacheca così tutti potranno leggerlo e farsi giudici del mio abbigliamento.

Era quella una cerimonia che si ripeteva spesso. Alvise Memmo aveva l’arte di stemperare qualsiasi potenziale catastrofe. Aveva un senso dell’umorismo e un’incredibile signorilità. “Perché offendersi per l’ovvio?” era solito ripetere.

Aloisi aveva terminato il lavoro di fotocopiatura e appeso alla bacheca consolare, tra i comunicati del Ministero degli Esteri e la data delle pensioni, il trafiletto de “l’opinione” ingrandito quattro volte.

– Così lo legge pure un cieco senza occhiali – aveva commentato Maurizio.

Non lo lessero i ciechi, ma lo lessero tutti gli impiegati dell’ufficio e ognuno aveva una sua opinione de “l’opinione”. Chi lo riteneva un foglio di poco valore finanziato da un oscuro donatore che voleva mantenere il suo nome segreto e chi, invece, pensava fosse umoristico e aveva il pregio di pubblicare fatti e notizie che gli altri giornali non osavano sfiorare. Qualcuno infine, sosteneva che era una schifezza!

– Non importa che parlino bene di me – ripeteva spesso Memmo – ma che ne parlino. Non siamo una società segreta… e che ne sa Cicinelli di cravatte?

Tutto procedeva senza drammi al Consolato generale d’Italia a Sydney. Ora, anche il telefono che nella mattinata sembrava impazzito, è silente.

Erano le tre pomeridiane quando Alvise Memmo uscì dall’ufficio e salutò Giovanna che, con un malloppo di carte, si affrettava a raggiungere l’archivio.

– Scendo un attimo a prendere un caffè – disse rivolto ad Aloisi nella sua postazione di telefonista e usciere tuttofare – Se qualcuno chiede di me, torno subito.

Passarono pochi minuti ed entrò un’anziana signora con una grossa sporta della spesa.

– Buon pomeriggio signora – l’accolse l’usciere Aloisi – cosa posso fare per lei?

– Buon pomeriggio anche a lei, signor Console – rispose affabile la signora.

– Ma guardi che io non… 

– Signor Console – incalzò la signora – non mi dica che ha da fare, sono venuta da Blacktown con il treno…

– Ma io veramente…

– Questione di minuti – non demorse l’anziana signora – ho portato i documenti per il rinnovo passaporto di mio marito che si è messo in testa di tornare a Carpanzano. Questione di poco, deve solo controllare che tutto sia in ordine.

A quel punto, l’usciere, telefonista, autista tuttofare, capì che era inutile spiegare all’anziana signora che egli non era il Console. E, in ogni caso, all’ufficio passaporti c’era Giovanna ed avrebbe pensato lei ad inoltrare i documenti.

– Dia pure tutto a me, ci penso io – disse Aloisi indicando alla signora di sedersi.

Il neo-proclamato console si allontanò, per raggiungere l’ufficio passaporti, proprio mentre stava facendo il suo ingresso il Console Generale autentico.

– Cosa posso fare per lei? – chiese premuroso Alvise Memmo vedendo l’anziana signora seduta in attesa.

– Niente signor impiegato – rispose la signora – alla mia pratica sta già provvedendo, di persona, il signor Console.

Proprio in quell’istante Aloisi tornò con il passaporto in mano. 

– Buon pomeriggio signor Console – saluta il suo temporaneo subalterno Alvise Memmo – vedo che ha già provveduto alla pratica della signora. Vado in ufficio e se ha bisogno… lo faccia sapere.

– Certamente – rispose Aloisi tirando un sospiro di sollievo perché, non si sa mai, il vero Console avrebbe anche potuto obiettare alla sostituzione di identità da parte dell’usciere tuttofare.

Aloisi, soddisfatto, consegnò il passaporto all’anziana signora:

– Tutto fatto – esclamò – era già pronto. Suo marito potrà partire per l’Italia.

– Ma non deve andare in Italia, egli deve raggiungere la Calabria…

– È valido anche per la Calabria – intervenne il Console che non era andato in ufficio. Non voleva perdersi il finale della sceneggiata consolare.

– Allora la ringrazio signor Console – disse rivolta ad Aloisi – ed anche lei, signor impiegato.

Prese la sua grossa borsa della spesa e infilò il passaporto nell’apposita tasca. Giunta alla porta si girò e, rivolta a colui che credeva fosse, l’impiegato esclamò:

– Lei è molto fortunato a lavorare in un ufficio con un Console così bravo, gentile e vestito come un manichino di David Jones.

E, soddisfatta, si avviò all’ascensore.

Alvise Memmo guardò Maurizio Aloisi negli occhi:

– Signor Console, il bar era chiuso – informa con viso burbero Alvise Memmo – mi faccia la cortesia di farmi un caffè con la macchinetta dell’ufficio.

– Certamente, subito – aggiunse con un sospiro di sollievo Aloisi che, fino a quel punto, non era certo della reazione del Console alla sostituzione della sua identità.

– E quando racconterà ai suoi nipoti che ha lavorato in Consolato in qualità di autista, centralinista, fotocopista, barista, archivista e chissà quante altre mansioni, non dimentichi di aggiungere che è stato anche Console Generale d’Italia a Sydney per sette minuti…

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