Lezioni di Nonnas 

Sul volo di ritorno a Sydney ho guardato Nonnas. Doveva essere un semplice film “di conforto”, invece si è rivelato uno specchio, a tratti impietoso, delle dinamiche che ancora oggi frenano la nostra comunità italiana.

Nel film, Joe Scaravella, dopo la perdita della madre, prova a trasformare il dolore in un progetto di rinascita: aprire un ristorante dove a cucinare sono vere nonne, custodi di ricette di famiglia, di sapori e memorie che rischiano di perdersi. Una visione bella, quasi romantica. 

Eppure le prime difficoltà non arrivano dall’esterno, ma da dentro: diffidenze, gelosie, campanilismi. Alcune delle nonne litigano su chi fa il ragù migliore, i connazionali storcono il naso, i puristi non vogliono “innovazioni”. È esattamente qui che ho pensato a ciò che conosciamo fin troppo bene.

Perché anche nella realtà, con la nuova Enoteca Maria, i primi a non dare supporto sono proprio i connazionali, e perfino le loro “famiglie”, quelli che più di tutti avrebbero beneficiato dell’iniziativa. Un luogo che univa tradizione, lavoro, identità, opportunità culturale: invece di sostenerlo, si è preferito diffidare, con le braccia conserte, in attesa che fallisse e poter dire “hai visto?”.

È questo che ancora oggi ci soffoca: la mania di confrontare tutto con “come si faceva una volta”, il sospetto verso chi osa proporre qualcosa di nuovo e diverso. E spesso chi porta un’idea nuova viene immediatamente spinto all’angolo, quasi fosse colpevole di insolenza. Lo vediamo ovunque: nei comitati, nelle associazioni, che si dicono uniti ma si comportano come fortini.

Anche il film Nonnas ci mostra che la memoria può tornare viva solo quando qualcuno ha il coraggio di rimetterla in circolo. Eppure, nella vita reale, chi tenta di fare lo stesso viene spesso accolto da un coro di “non funzionerà”, “non serve”, “non è come prima”. 

Se vogliamo una comunità che non sia solo una cartolina ingiallita, dobbiamo imparare a sostenere chi prova a creare, non chi lavora per lucrarci e demolire gli altri.