di Emanuele Esposito
In Italia esiste una categoria particolare: quelli che, davanti a un errore giudiziario, vedono solo la necessità di difenderlo. Non l’imputato, non la verità, non la logica. No: l’errore. Perché sfiorare la sacra divinità della giustizia italiana è un tabù, e l’errore diventa tollerabile solo se venerato.
Il caso Garlasco è emblematico: un sistema che dovrebbe cercare la verità finisce per costruirne una propria, difendendola come un dogma religioso. Evidenze ignorate, perizie contraddette, testimonianze traballanti: tutto sacrificato sull’altare di un impianto accusatorio già scritto, dove il finale sembra deciso prima ancora che le indagini siano concluse. E dietro ogni processo c’è un essere umano che rischia la vita, la libertà, la dignità.
Poi ci sono i giornalisti: invece di controllare il potere, lo accarezzano. Si aggrappano alla versione ufficiale come naufraghi alla zattera, considerare una sentenza discutibile è un atto eretico. E così, chi avrebbe dovuto dire “fermi tutti, qualcosa non torna”, si ritira a difendere l’indifendibile.
Per fortuna, c’è chi non si accontenta. Bugalalla, Zanella, Di Giuseppe, Tosatto: cronisti senza tessera dei salotti buoni, ma con la volontà di capire. Sono loro a smontare pezzo dopo pezzo accuse che appaiono già scritte e a ricordare che la giustizia non è un algoritmo infallibile, ma un insieme di esseri umani che possono sbagliare. E quando succede, chiedere scusa non sarebbe un optional.
Eppure, l’Italia continua a inciampare nello stesso errore: una parte della magistratura resta ferma, una parte della stampa tace, e innocenti rischiano di marcire in carcere mentre chi governa il sistema racconta che tutto funziona. Nel caso Garlasco, le domande superano le risposte. E in uno Stato di diritto, questo dovrebbe far tremare chiunque.
Il caso non è un incidente: è una diagnosi, una condanna del sistema. Riformare significa responsabilizzare, ammettere che il potere può sbagliare. E a molti questo fa paura. Se un uomo innocente è in carcere, la giustizia ha fallito. Se il sistema difende i propri errori, è malata. Se i giornalisti coprono i silenzi dello Stato, l’informazione è complice.
