Ricordi: gli angeli dalla faccia sporca

C’erano una volta tre ragazzi che sembravano usciti da un film in bianco e nero

Capelli spettinati, sguardo furbo e quell’aria da scugnizzi che faceva disperare gli avversari e impazzire i tifosi. Li chiamavano “Los Ángeles de las Caras Sucias”, gli Angeli dalle facce sporche. Non era un soprannome scelto dai giornalisti raffinati, ma dal popolo che li guardava giocare, perché sembravano sempre pronti, a combinarne qualcuna. 

I loro nomi? Omar Sivori, Antonio Angelillo e Humberto Maschio. Tre ragazzi con la maglia a banda rossa del River Plate e con la voglia di dribblare pure le ombre. Sivori del trio, era il genio ribelle. Se il pallone fosse stato quadrato, lui l’avrebbe fatto rotolare ugualmente con eleganza. Angelillo aveva il fiuto del gol, anche al buio riusciva a trovare la porta. Maschio era il regista, quello che sapeva e doveva, far sembrare tutto facile.

Quando scendevano in campo, era come guardare tre compagni di scuola che avevano marinato le lezioni per giocare a pallone dietro la chiesa. La leggenda dice che i tre si capissero con un’occhiata: un sopracciglio alzato, un mezzo sorriso, e la difesa avversaria finiva già col sedere per terra. I tifosi li amavano perché non erano statue di bronzo, erano ragazzi veri, con le ginocchia sbucciate, i calzettoni arrotolati e la faccia un po’ da furbetti. 

E così, tra un dribbling e un gol da cineteca, nacque il mito: “gli angeli dalle facce sporche”. Se ancora oggi qualcuno li ricorda con quel soprannome, è perché dentro al campo non sembravano calciatori perfetti, ma amici di quartiere che avevano avuto la fortuna di giocare davanti al mondo intero.