Con la musica nel cuore

Con la morte del batterista dei Rolling Stone, Charles Watts, un altro pezzo della mia gioventù se ne va. Questo c’era da aspettarselo… se crepo prima io non me ne accorgo, ma se sopravvivo, prima o poi tutte quelle persone che ho seguito e ammirato durante il mio viaggio le vedrò arrivare al traguardo prima di me. 

Facciano pure, tanto non ho fretta… Questa volta, mentre me ne stavo sulla staccionata immaginaria, sulla riva del fiume immaginario, ho visto passare Charlie… Si, proprio lui, quello dei Rolling Stones, il gruppo che mi ha accompagnato attraverso la contestazione degli anni ‘60, quando protestare era il principio alla base di tutto. 

L’Italia era uscita dalla guerra e noi, figli della guerra, volevamo uscire dall’Italia: ci stava stretta. Eravamo cresciuti fin lì con tante lotte, tanti scontri, tante domande e nessuna risposta. Era il momento in cui dovevamo vedercela con quelli che, forse, durante la guerra si erano nascosti nelle cantine. Una classe dirigente benestante, opportunisti sopravvissuti ai bombardamenti indiscriminati degli americani, alle rappresaglie della guerra civile, politici corrotti ed incapaci… Insomma, un calendario di santi immaginari che proteggevano noi, i figli e vittime della guerra. 

La nostra colonna sonora dello sconfusionato dramma post bellico era la musica rock, mentre quella della classe dirigente era quella che chiamavano melodia all’italiana: motivetti con parole insulse, rime più o meno infantili, canzoni che parlavano di papaveri che volevano sposare le papere, figli che amavano le mamme e montagne nevose con il rintocco di campane… Nel collegio dei padri Dehoniani non si poteva ascoltare musica, ma ci facevano vedere, con il contagocce, la televisione. 

Non quella di oggi con le veline in mutandine, quella del tempo, rigorosamente in bianco e nero e possibilmente di programmi maschili, cioè quelle trasmissioni in cui gli attori principali sono uomini: come la santa messa della domenica dal Vaticano o il secondo tempo della partita di calcio. Ma quella sera c’era il Festival di Sanremo. 

Onestamente, ancora oggi non riesco a capacitarmi come mai Padre Ferdinando ci permise di assistere ad un programma così… audace. A dire il vero, la trasmissione sembrava più interessante della messa dal Vaticano e sul palco, addobbato di fiori che vedevamo solo bianchi e neri, si susseguivano cantanti impeccabilmente vestiti con giacca e cravatta. Giorgio Consolini aveva appena terminato “Campana di Santa Lucia” e Padre Fernando con i suoi “cocchetti” già l’applaudivano come la canzone vincitrice. Invece noi, gruppo dei contestatori, non eravamo particolarmente coinvolti, anzi, qualche sbadiglio era di troppo. – Di Migliacci e Modugno – annunciò il presentatore Gianni Agus – Nel blu dipinto di blu. – Canta Domenico Modugno – strillò Fulvia Colombo, la presentrice. 

Già questa introduzione aveva infastidito il nostro sacerdote… una donna che presenta un festival canoro non doveva essere in alto nella sua graduatoria, se poi si aggiunge che stava strillando… La canzone comincia lenta – Penso che un sogno così non ritorni mai più – facendomi pensare che fosse la solita cantilena – Mi dipingevo le mani e la faccia di blu – spero solo sia vernice ad acqua, altrimenti sei fregato – Poi d’improvviso venivo dal vento rapito – Sì, se non sei grasso come Padre Ferdinando, altrimenti occorre la bufera – E incominciavo a volare nel cielo infinito – adesso ci racconterà qualche santo che sale al cielo volando… e, come se Modugno avesse letto nel mio pensiero, proseguì: – Volare oh, oh, cantare oh, oh. Come per magia, tutti noi, i contestatori incalliti cominciammo a battere mani e piedi tra gli sguardi scandalizzati dei “cocchetti di prete” che cominciarono a tapparsi le orecchie con le mani per non sentire. – Nel blu dipinto di blu, felice di stare lassù… Il sacerdote si alzò e spense la televisione sentenziando: – Tutti a letto, non possiamo vedere questa schifezza: questa è musica da pestapiedi, questa musica è l’anticamera dell’inferno! 

Padre Fernando era fatto così… prima faceva vedere un po’ di televisione e poi, nel momento più bello, spegneva il televisore. Egli ci concedeva di giocare a pallone durante il pomeriggio, poi, quando le squadre erano in parità, sospendeva la partita e… se qualcuno aveva fatto cadere una forchetta nel refettorio, lo faceva inginocchiare davanti alla statua di Domenico Savio per ore intere. 

Oggi lo chiamerebbero sadico, ma allora era un sacerdote normale. – Nella vita devi affrontare tante cose – mi disse Padre Fernado dal confessionale – ma non è certamente da me che imparerai queste cose. Come ho detto ieri e lo ripeto, questa musica da pestapiedi è l’anticamera dell’inferno. Non ho niente contro la musica, non ho niente contro il ballo, ma non tra un uomo e una donna, il ballo è per soli uomini, altrimenti diventa tentazione. Per penitenza, reciterai tre Padre Nostro e cinque Ave Maria. 

La confessione in collegio era obbligatoria, altrimenti niente ricreazione e si doveva passare l’intera ora in classe a rileggere l’Iliade, cantata da un cieco in tempi remoti. Giunto il 1961, l’anno segnò un doppio traguardo: l’uscita dal collegio e i Beatles. 

Finalmente, con il primo stipendio in tipografia, potei comprare un giradischi, una delle mie passioni nella vita. Questo piatto che gira, gira come il mondo e fa ascoltare e sognare il mondo… anche se, un gruppo dai capelli lunghi che si fanno chiamare “scarafaggi” strillano in una lingua incomprensibile. 

Certamente a Padre Ferdinando non sarebbero piaciuti. Non passò troppo tempo e sul piatto prese posto quella che chiamavano la musica “sporca e cattiva” quella musica che attinge alle radici del rock’n’roll e del blues, e guarda caso, anche questi cantanti strillavano in quella lingua incomprensibile. Ma il nome era decisamente migliore: Pietre Rotolanti… i Rolling Stones. 

I Beatles furono, almeno per il momento, segregati nel cassetto per far spazio a Mick Jagger dei Rolling Stones che cantava Tell Me. – L’anno copiata dall’Equipe 84 – disse mamma. – Casomai sarà stata l’Equipe 84 che ha copiato dai Rolling Stones – risposi piuttosto risentito dall’insinuazione. – Sarà, ma almeno quelli la cantano in italiano… – Un po’ di ragione ce l’hai, cantano in inglese. Non che ci trovi molto di strano, sono inglesi, mi meraviglierei se cantassero in italiano per farti piacere. Chissà quante volte quel piatto con il disco dei Rolling Stones avrà fatto il giro del mondo: Mick Jagger, Keith Richards, Brian Jones, Bill Wyman e Charlie Watts alla batteria. 

E chissà cosa avrei fatto io nella vita senza i Rolling Stones! Ricordo ancora che presi due cucchiai di legno e sulla base della pentola grande cominciai a percuotere il ritmo. Mamma, impaurita, era schizzata fuori dalla camera da letto dove stava facendo il suo sonellino pomeridiano. Forse aveva sognato che stavo sfasciando la porta a vetri che dava in salotto… – Ma cosa devo fare per farti smettere con questo fracasso? – Mi compri l’Exakta? – Va bene, ti compro quello che vuoi, basta che la smetti di fare fracasso – acconsentì mamma – Ma cosè l’Exakta? – Una macchina fotografica tedesca! – Perché, quella italiana no va bene? Hai già la Bencini… – Tu non capisci, mamma… – Naturalmente, capisci tutto tu… Tedesca poi? Perché non sai cosa hanno fatto i tedeschi durante la guerra… Per qualche anno la musica rock fu segregata nel cassetto in basso, quello dove già alloggiavano i Beatles. 

Ci stavano un po’ stretti, ma ci stavano. Nel cassetto di sopra presero posto la mia Exakta nuova, i rullini, l’album dei negativi. Avevo perfino il filtro rosso… che allora non capivo a cosa servisse considerato che fotografavo in bianco e nero. Qualche anno dopo l’avrei capito, come avrei capito l’inglese. Ma ormai il sogno era svanito. Il rock era dappertrutto, la fotografia divenne digitale e l’inglese lo parlano tutti. Con il tempo i dischi dei Beatles e Rolling Stones tornarono nel primo cassetto. 

Le macchine fotografiche a rullino nella bacheca. E ora Charlie se n’è andato e, con lui, anche un pezzo della mia gioventù. Questa è la gioventù che non torna più… anche se, a volte, vorrei tanto che tornasse. Ma nel frattempo ho imparato che nella vita non sempre si può ottenere quello che si vuole… Sing it again Mick: – You can’t always get what you want, but if you try sometime, you find you get what you need… Good night old friends. I will miss you, Charlie.

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