Guardando il dipinto del concilio cadaverico di Papa Formoso, riesumato e condannato da morto, mi chiedo se la nostra comunità, in decadenza, non stia vivendo una simile, lenta e dolorosa malattia, i cui sintomi più evidenti sono il protagonismo e la malevolenza.
L’apparire ormai nelle piazze e nei salotti non coinvolge soltanto la vecchia guardia, che per forza maggiore è ottuagenaria e largamente “scaduta”, ma anche una fetta di “giovani” che credevo fino a qualche mese fa essere individui “scappati” dal classismo e dalle regalie di un sistema corrotto che sono finiti per diventare i nuovi protagonisti dell’altra faccia della stessa medaglia, quasi come nella “Fattoria degli Animali” di George Orwell.
Così che prima di rischiare di venire trascinato come da un vortice da questo nuovo modo di essere comunità, mi pare opportuno tirare i remi in barca e ricordare a me stesso dei pensieri importanti che mi sono stati dati da due conoscenze molto diverse tra loro, ma che mirano entrambi allo stesso fine.
Il primo insegnamento proviene da un sacerdote. L’uomo è ancora in vita ma, salvo l’abito che tra l’altro non indossa, non ho mai avuto modo di ammirare più di tanto. Certamente un ottimo predicatore e ugualmente molto singolare nella personalità, può anche darsi che legga questo articolo, quindi magari gli farà piacere sapere che malgrado le enormi differenze tra noi, alcune sue parole mi continuano a guidare del tutto inaspettatamente.
C’erano state delle divergenze tra me ed il prete. Mi presi coraggio e gli chiesi udienza tramite una suora, che gentilmente mi concesse. Dopo avermi sentito, con aria abbastanza ferrea, mi ammonì. “Una persona che non sta in piedi da sola non ha futuro, non esiste. Ora vai, io non ho più nulla da dirti” mi disse il sacerdote.
Rimasi scioccato di come, in modo così diretto venni liquidato dal curato d’anime. Mi parve di essere uno di quei giustiziati dalla Santa Inquisizione, che venivano sistematicamente “rilasciati” nella giurisdizione civile così da poter essere trascinati al patibolo.
Allorché, in quel tempo, mentre cercavo di discernere la mia vocazione al sacerdozio e alla vita religiosa capii anche l’importanza di fare scelte sensate, senza farsi convincere troppo dagli altri. Ancora oggi, per quello che mia zia chiamava “boncore” (cuore generoso) a molti capita di lasciarsi coinvolgere in discorsi e situazioni estranee al proprio modo di essere, con progetti mentali più incentrati sul voler divenire un personaggio di successo piuttosto che desiderare essere in pace con la propria coscienza.
Il secondo insegnamento mi venne dato da una carissima amica di famiglia, la quale stimo profondamente. Una volta la donna mi disse testuali parole. “Sai, l’Australia a noi italiani ci ha levato la rogna che avevamo di sopra! Oggi ci atteggiamo come se fossimo personaggi importanti e di successo, ma dimenticano la miseria da cui proveniamo.”
Non riuscii a captare subito la durezza di quelle parole, ma ora, mentre osservo sempre più spesso i sodalizi di madame e cavalieri e spillette consegnate per aver fatto forse solo il proprio lavoro retribuito sento di avere ben chiara l’immagine di una comunità fallita, che pur di tirare su il collo fuori dall’acqua già giunta oltre la gola è diventata capace di calpestare quel poco che rimane della propria dignità.
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