La Corte costituzionale ha affermato che il minimo giornaliero per trasformare la pena detentiva in pena pecuniaria, fissato a 250 euro, era troppo alto.
Per questo ha stabilito un nuovo minimo in 75 euro. Inoltre ha ritenuto che “le pene pecuniarie non sono equiparabili a quelle detentive, perché la loro gravosità dipende dalle disponibilità economiche del singolo condannato”
Nel nostro ordinamento, è possibile sostituire una pena detentiva breve con il pagamento di una somma di denaro, tramutandola così in pena pecuniaria.
Una legge del 1981 fissava la cifra minima a 250 euro, per ogni giorno di carcere non scontato.
La Corte costituzionale ha stabilito però che la cifra fissata per legge sia troppo onerosa e produca l’effetto che la commutazione della pena da detentiva a pecuniaria sia «un privilegio per i condannati abbienti».
Inoltre, ha fissato un nuovo minimo per giorno di carcere commutato a 75 euro, che corrisponde alla cifra prevista nel caso di decreto penale di condanna.
Il decreto penale di condanna, infatti, fa parte dei riti speciali per i quali, in caso di reati a bassa offensività sociale, il condannato non subisca nemmeno il processo e accetti la condanna al pagamento di una somma, chiudendo così il contenzioso.
La Corte ha rilevato che «se l’impatto di pene detentive della stessa durata è, in linea di principio, uguale per tutti i condannati, non altrettanto può dirsi per le pene pecuniarie» che dipendono dalla disponibilità di reddito e patrimonio del singolo condannato.
Ha dunque stabilito che il minimo di 250 euro sia sostituito da un minimo di 75 euro, già previsti dalla normativa in materia di decreto penale di condanna.
Rimane inalterato invece l’attuale limite massimo giornaliero di 2.500 euro.
La Corte ha sottolineato che il legislatore può, nella sua discrezionalità, individuare soluzioni diverse e, potenzialmente, ancor più aderenti ai principi costituzionali definiti nella sentenza.
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