Ciò che è avvenuto e sta avvenendo in Ukraina può essere letto come segue; ma una premessa necessaria riguarda i principi e i riferimenti al diritto internazionale, ai quali è sempre bene riferirsi e che nessuno dei contendenti ha mai rispettato da decenni a questa parte, tanto meno i “civili” europei.
Non lo si è rispettato a partire dalla precedente guerra in Europa, quella in Jugoslavia, paese che è stato bombardato senza alcun ritegno né rimorso dalla Nato, con la partecipazione decisiva del Governo D’Alema, forse varato all’uopo, con ministro della Difesa Sergio Mattarella; con la partecipazione attiva e decisiva del Vaticano di Papa Wojtyla, della Germania e di tutto il resto, inaugurando la tragica stagione dei nazionalismi etnici e religiosi secondo uno schema già sperimentato nel mondo post coloniale in Africa dalle multinazionali americane e europee e proseguito con la creazione e il sostegno all’islamismo wahhabita prima in Afghanistan in funzione anti-sovietica, successivamente nei territori palestinesi occupati da Israele, nel confitto Irak-Iran tra sunniti e sciiti e nella successiva aggressione all’Irak, in Algeria, in Egitto, nel Caucaso, in Libia, in Siria.
Non lo si è rispettato neanche più recentemente con il riconoscimento Usa dell’annessione del grande Sahara occidentale da parte del Marocco e con le assurdità del Kosovo o del Montenegro, di nuovo nei Balcani.
Il principio dell’autodeterminazione da una parte e dell’integrità territoriale degli stati, dall’altra, sono stati usati e vengono usati a piacimento e senza alcuno scrupolo logico o morale. Di volta in volta il quinto potere mass-mediatico è tenuto a cancellare la memoria storica delle masse e a innestarvi il principio di diritto più utile al momento.
Questa è il letamaio, dal punto di vista dei principi, che abbiamo di fronte e rispetto a questa situazione bisognerebbe tener presente che la narrazione con cui ognuno ha a che fare nei rispettivi paesi è intrisa di propaganda, ipocrisie e falsità storiche.
Venendo al presente: sono più di sette anni che la Russia chiede di applicare gli accordi di Minsk seguiti alle vicende di Piazza Maidan e allo spostamento dell’asse di riferimento internazionale dell’Ukraina. Lo ha continuato a chiedere fino alle più recenti settimane. Nel frattempo i morti sul confine delle due repubbliche russofone sono state circa 22 mila e i profughi verso est centinaia di migliaia. L’accordo prevedeva una autonomia delle due repubbliche entro i confini ucraini analoga a quella di cui gode, in Italia, la provincia dell’Alto Adige. L’esercito ucraino ha continuato a presidiare quel confine con bombardamenti che in questi ultimi mesi di crisi, anziché ridursi si sono intensificati.
Parallelamente la richiesta di adesione alla Nato da parte dell’Ukraina e l’arrivo di armamenti sofisticati da Gran Bretagna e Usa hanno messo sotto ulteriore pressione la Russia, già da anni allarmata dall’avanzamento della Nato fino ai suoi confini, contrariamente a quanto 30 anni prima promesso dai vertici Usa all’atto della riunificazione tedesca.
La vicenda è più che calda da quando la Russia ha rioccupato la Crimea (essenzialmente per non perdere la sua base navale sul Mar Nero) e da allora i segnali di rischio di grave deterioramento delle relazioni tra Russia e occidente erano evidentissimi.
Cosa hanno fatto, in questo frattempo, la Nato e l’Europa rispetto a queste preoccupanti evidenze?
La Nato ha proseguito nella sua strategia di accerchiamento della Russia. L’Europa ha tentato di proseguire su una via di cooperazione economica avviata da tempo (il proseguimento della visione di Willy Brandt in epoca sovietica) ma è stata bloccata proprio nel 2014 con la rivolta colorata di Piazza Maidan e il sovvertimento del governo ukraino di allora: in quegli anni l’allora vicepresidente USA, Biden, piazzò al vertice della compagnia di gas dell’Ukraina (che controllava il gasdotto centrale proveniente dalla Russia che arrivava in Europa), il proprio figlio, Richard Hunter Biden.
Quanto ai rapporti russo-tedeschi, nel board della Gazprom (Consorzio per il gasdotto North Stream) già sedeva, l’ex cancelliere socialdemocratico tedesco, Gerhard Schröder. Gasdotto che era ed è tutto un programma: transazione diretta di energia, senza passare per Ukraina e altri paesi centro europei che, all’occorrenza, possono chiudere il rubinetto o pretendere maggiori royalties per i diritti di passaggio, cosa che l’Ukraina ha fatto con continuità programmatica.
Il North Stream è in nuce la possibilità di una cooperazione diretta EU-Russia, cioè l’aborrito scenario di cooperazione euro-asiatica che il segretario di stato Usa Brezinsky, tra gli ultimi a tornare sulla materia, definì come la cosa più pericolosa che potesse accadere per gli interessi globali USA.
L’ingresso, sotto la presidenza Obama, del giovane Richard Biden ai vertici della compagni ukraina, con annessa parallela rivoluzione colorata che ha annoverato diversi sostenitori anche italiani in missione a Kiev davanti a platee in buona parte composte di neo-nazisti locali, era la risposta americana a questa possibilità da evitare ad ogni costo. Gli eventi politici ukraini sono in perfetta sintonia con questi passaggi.
La tenzone inter-imperialistica tra potenze prevalentemente militari e finanziarie (Usa, Uk) contro potenze prevalentemente produttrici di manufatti industriali (Cina, sud est asiatico ed Europa) arriva al dunque: ciò che i primi debbono evitare è che si consolidi un asse cooperativo dei secondi tra loro e con i produttori di fonti di energia e di commodities (prodotti agricoli, risorse naturali di base, minerali, ecc.) senza passare per il dazio imposto dai detentori dei servizi di transazione, fisici o virtuali, che su questi servizi operano un drenaggio fondamentale alla loro perpetuazione.
Gli interessi tra questi modelli di capitalismo sono così divaricati e divaricanti che anche fenomeni politici come la Brexit e il resuscitare di obsolete compagini, come il Commonwealth, sono in buona parte ad essi riconducibili: gli interessi inglesi sono sensibilmente opposti a quelli dell’Europa continentale. Canada e Australia, due economie profondamente estrattive, sono storicamente legati a quelli angloamericani; la Russia che da questo punto di vista somiglia loro, è geograficamente e storicamente un paese euro-continentale.
Gli anglosassoni, nel rischio di un consolidamento di un asse euro-asiatico, debbono privilegiare le loro relazioni con i paesi est-europei minori ex satelliti dell’Unione Sovietica, per impedirne la realizzazione. Lo strumento soft (e utilmente ambivalente) di questa politica è stata l’adesione alla EU, ma quello vero che dà effettive garanzie è l’adesione alla Nato.
La subalternità euro-continentale agli Usa e l’incapacità di costruire una pratica di reale coesione interna europea, di cui abbiamo visto gli esiti anche con la tragica crisi greca e con quella italiana del 2011-2013, hanno costituito le altre variabili della questione: il mercantilismo tedesco, l’opportunismo francese, da questo punto di vista hanno delle grandi responsabilità. Purtroppo, la logica imperialistica non si applica solo ai primi della classe, ma anche ai secondi, come ha mostrato anche la tragica vicenda libica, da cui, però tutti gli attori iniziali di quella vicenda sono usciti sostanzialmente sconfitti. In modo analogo è andata in Siria.
Ora, ascoltare i proclami occidentali e il richiamo agli accordi di Minsk dalle potenze di second’ordine contro l’aggressione russa all’Ukraina, in pieno accordo con anglosassoni e vertici Nato, è abbastanza impressionante: significa che al momento non vi è alcuna chance di autonomia europea e che la sudditanza al complesso militare-finanziario, o la loro compenetrazione, è fortissima. Gli spazi di manovra limitati. Oltre questi spazi, un intero orizzonte, pieno di incognite, dovrebbe essere ridisegnato.
La Russia, come qualcuno ha detto, si gioca una partita temeraria, ma evidentemente anche loro percepiscono che, alla fine, il potere e la pressione militare è ciò che conta, almeno nel limitato spazio geografico e storico di sua pertinenza. E che, dal loro punto di vista, non vi sono alternative praticabili all’ordine globale e geo-strategico imposto dalla superpotenza atlantica.
Ma sottostante al confronto Nato-Russia, c’è quello tra Usa e nucleo storico Eu (Francia, Germania, Italia, ecc.), e la prospettiva di una sua maggiore, relativa, autonomia; per certi versi esso è molto più significativo, come probabilmente mostreranno gli effetti delle sanzioni e/o gli eventi prossimi venturi.
Anche per tutto ciò, le poche (e non è casuale) manifestazioni per la pace che si annunciano dovrebbero contemplare nel loro programma almeno il richiamo al consolidamento di un’Europa, certamente contro la guerra, ma anche di cooperazione verso est e verso sud.
L’autonomia europea può darsi sono in questo quadro. E ciò è possibile solo a condizione di provare ad emanciparsi dalla Nato, o – eresia – di scioglierla. Mentre un obiettivo minimo alla portata di qualsiasi suo componente, ivi compresa l’Italia, è quello di opporsi al suo ulteriore allargamento. Negare quest’ultima possibilità, al netto di principi rivoltabili come calzini, vuol dire cercare la guerra, non la pace. (Rodolfo Ricci)
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