È la verità, ovunque andiamo troviamo la bandiera italiana e quasi sempre un nome italiano, quindi questa bandiera e questo nome indicano qualità.
Naturalmente ci sono i pro e i contro.
A favore, quando leggiamo nomi di prodotti ben noti e conosciuti fin da quando eravamo bambini, ci sono ditte come: San Pellegrino, Chinotto, Buitoni, Motta, Valpolicella, Panettone, ecc. ecc.
Poi i locali italiani, ristoranti: da Giggi, Spacca Napoli, Ristorante sardo, il piccolo Milano, il Valdostano, Roma Capoccia e molti, anzi moltissimi altri dove c’è un cuoco italiano e i proprietari altrettanto lo sono, ma… c’è un ma, perché, spesso e volentieri, dietro quei nomi tipicamente italiani si celano cuochi e padroni di tutt’altra nazionalità.
Mi è capitato di vedere l’insegna in italiano di un ristorante, “Lo spaghetto doro”… ho usato un nome fittizio, ma non mi distacco molto dal vero, è scattato il mio dubbio.
“Doro” si scrive con l’apostrofo, quindi questo ristorante è il classico bluff.
Ad ogni modo entro e come se fossi a casa mia, mi rivolgo a tutti in italiano: “Buon giorno, cosa c’è di buono oggi da sbatte sotto i denti? Si potrebbe rimedierebbe una ciotola di baccalà alla livornese?”
Tutti mi guardano stralunati e candidamente, mi dicono che non parlano italiano ma che vengono da vicino… non tanto lontano. Ma appena si apre la porta della cucina… chi ti vedo come cuoco? un bel traccagnotto non tanto alto con due occhi a mandorla inequivocabili del classico cinese.
Beh, era solo una prova, ma ad ogni modo non sarei rimasto per degustare un piatto di spaghetti al sugo serviti direttamente dalla bottiglia del pomodoro.
Quindi, come si suol dire, non tutte le ciambelle escono con il buco e gli specchietti per le allodole sono ovunque. Peccato chi ci cade.
Purtroppo chi ci rimette è la nostra italianità, perché il fregato, chiaramente si guarderà bene dall’entrare in un ristorante con nome italiano. Per fortuna, salvo qualche sbavatura del caso, la stragrande maggioranza del popolo australiano sa già dove andare e dove no.
Ma allora perché questi avventurieri della ristorazione devono forzosamente usare nomi italiani? Quando chiedono una licenza per la ristorazione, le stesse autorità dovrebbero invitarlia ad usare nomi più appropriati.
Il neo negativo del tricolore invece c’è lo dimostrano gli stessi italiani, non quelli residenti, ma quelli che vengono turisticamente per un certo periodo… quelli che potremmo chiamare “i figli di papà”. Basterebbe girare un po’ per il centro delle grandi città oppure nelle zone balnearie di una certa importanza, per riconoscere chi sono. Esperienze già vissute in altre occasioni.
Ieri mattina, casualità, in uno di quei grossi super mercati dove si può acquistare di tutto e dove normalmente c’è anche l’immancabile “Delicatessen” con prodotti quasi tutti italiani, mi imbatto con due soggetti ventenni italiani (dalla parlata tipicamente lombarda) rigorosamente senza la mascherina anti Covid, quando la totalità delle persone la portavano. Ritengo una mancanza di rispetto delle regole specialmente quando altre persone hanno lanciato le classiche occhiate di disappunto.
Pronto ad intervenire, vengo fermato da mia moglie per evitare possibili ed inevitabili problemi.
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