Il 10 Febbraio del 1947, a Pola, in via Giovanni Carrara, Maria Pasquinelli, insegnante di 34 anni, uccideva, sparandogli tre colpi di pistola nella schiena, il generale inglese Robert “Robin” de Winton, di 39 anni, comandante della guarnigione britannica di Pola, massima autorità alleata presente in città, come gesto di estrema protesta armata per l’assegnazione di Pola, che dal 1918 era parte del territorio tricolore, alla Jugoslavia.
Il 10 febbraio era, infatti, il giorno nel quale, a Parigi, veniva sancito il passaggio, dall’Italia alla Jugoslavia, di Fiume, di Zara, delle isole di Lagosta e di Pelagosa, dell’alta valle dell’Isonzo, di gran parte del Carso triestino-goriziano, dell’Istria.
La data del trattato siglato nella capitale transalpina verrà assunta, con la legge 30 marzo 2004 numero 92, quale giorno della memoria per le popolazioni italiane costrette all’esodo per non sottostare allo strapotere degli uomini di Tito.
La professoressa Pasquinelli, di Firenze, classe 1913, dopo essersi laureata in Pedagogia a Bergamo aveva insegnato Italiano a Spalato, quindi era stata in cattedra a Milano e dopo era andata a Trieste. Nell’ultima sede era entrata in contatto con il principe Valerio Borghese, comandante della X flottiglia Mas, e in stretta collaborazione anche con la formazione dei partigiani bianchi “Franchi”, capeggiata dal conte Edgardo Sogno Rata del Vallino, aveva svolto un accurato lavoro di documentazione e informazione sugli italiani assassinati nelle foibe dai partigiani comunisti di Tito.
Per questa sua attività (che la stessa Pasquinelli racconterà nelle sue memorie che confluiranno nel saggio “Tutto ciò che vidi” di Rossana Turcinovich e Rossana Poletti, dato alle stampe da Oltre edizioni, di Sestri Levante, nel 2009) era ricercata dall’Ozna, l’Odeljenje za Zatu Naroda, ovvero i servizi segreti militari jugoslavi.
Dopo l’omicidio la Pasquinelli, che proprio per il suo gesto altamente simbolico, diverrà icona dell’italianità in quel complesso momento storico del confine orientale, si lasciava arrestare dai militari inglesi.
In tasca aveva il biglietto di rivendicazione del delitto. Il 10 aprile successivo la Corte militare alleata di Trieste condannerà a morte la donna, dopo il processo iniziato il 19 marzo. La pena capitale verrà poi commutata in ergastolo dal comando alleato, da scontare in Italia.
Dopo 17 anni di reclusione, che trascorrerà a Firenze, otterrà la grazia dal presidente della Repubblica supplente Cesare Merzagora e tornerà libera, il 22 settembre 1964.
Quindi si trasferirà a Bergamo, dalla sorella, dove vivrà fino al 3 luglio 2013, morendo da centenaria.
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