Alcuni lo chiamano teneramente “l’Hallelujah di Shrek,” altri invece “Hallelujah di Cohen.” Si tratta di una delle canzoni più cantate e suonate nelle chiese cattoliche italiane (anche da cori che sarebbero formati da membri competenti, formati e praticanti), associata a quanto si vuole vare credere, a qualcosa di gioioso e che dovrebbe riguardare Gesù ma che invece ha mescolato brillantemente sesso e religione.
Il brano, infatti, non ha alcun riferimento né con il cristianesimo né con la resurrezione di Gesù. L’autore, Leonard Cohen, ricorrendo un passo biblico di Samuele ci dice che Davide, nonostante sia il più importante Re di tutta la storia di Israele e nonostante la sua fede sia incrollabile, sale sulla terrazza della reggia e di lì vede Bath-Sheba (Betsabea), moglie di Uria l’Ittita (un guerriero al suo servizio proveniente da Hatti in Asia Minore), fare il bagno.
Scrive infatti così il Testo Sacro: “Al tempo in cui i re sogliono andare in guerra Davide rimasto a Gerusalemme, un tardo pomeriggio, alzatosi dal letto si mise a passeggiare sulla terrazza e vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella d’aspetto. Davide mandò ad informarsi chi fosse la donna. Gli fu detto: è Betsabea figlia di Eliàm, moglie di Urìa l’Hittita”.
Davide, preso da un infinito ardore “carnale” di fronte a quella vista, dimenticando il suo ruolo e la sua fede, manda a prendere Betsabea e giace con lei (“Allora Davide mandò messaggeri a prenderla. Essa andò da lui ed egli giacque con lei. Poi essa tornò a casa”). Compie così un adulterio, reato ritenuto “immondo”, che comportava all’epoca, per gli ebrei, nientemeno che la pena di morte. Betsabea rimase incinta (“La donna concepì e fece sapere a Davide: sono incinta”).
La canzone che elogia le gesta di un marito cornificato, tradito (dal Re e dalla moglie) e per giunta messo a morte con uno stratagemma (cfr. 2 Sam 11). La quarta strofa del brano divenuto in queste settimane il pezzo forte delle celebrazioni pasquali, fa chiaro riferimento a un piacere fisico per giunta in una chiave molto erotica (“Ho fatto del mio meglio, non provavo nulla, non era un granchè , così ho provato a toccare”) che per giunta finisce anche male ovvero “che è andato tutto storto”.
Per qualche sedicente esperto di liturgia e di musica sacra, la scelta di un coro parrocchiale di eseguire il brano di Cohen per la Messa di Pasqua sarebbe addirittura “supportata” dalla Costituzione del Concilio Vaticano II, la “Sacrosanctum Concilium”, che al n. 118 afferma il ruolo dei “canti religiosi popolari” al fine di coinvolgere i fedeli in “pii e sacri esercizi.”
Insomma, “Halleluiah” sarebbe il nuovo “T’adoriam Ostia Divina!” Da quando in qua può il Concilio avvallare che nelle funzioni sacre si utilizzi la canzone di un uomo che, nell’angoscia esistenziale, si rivolge al sesso in sostituzione della religione?
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