C’era un tempo in cui la comunità italiana d’Australia poteva contare su organizzazioni legate al mondo comunista, più o meno ‘scomode’ all’establishment. Tra queste, la FILEF (Federazione Italiana Lavoratori Emigrati e Famiglie) è per molti anni rimasta, a dire degli storici locali tra cui Alastair Davidson, un luogo di idee progressiste, sulla scia dei movimenti sessantottini e in contrasto con le istituzioni rappresentative della borghesia.
La FILEF, una cellula decentralizzata del Partito Comunista Italiano, operava a favore delle comunità italiane all’estero che potevano contare su voci critiche dello status quo. Per lo storico Luca Marin, la FILEF si occupava di “welfare, sviluppo della comunità italiana, emancipazione femminile, diritti civili e affari etnici.” Dalla radio, alle agenzie governative per il multiculturalismo, fino a giungere alle università, membri della FILEF venivano assunti e si integravano nel sistema australiano.
Negli Anni 70, a distanza di un ventennio dal fallito tentativo di eliminare il partito comunista in Australia, la FILEF rappresentò un possibile raccordo tra chi sognava il downunder come un paese “socialista” e chi, nel caso della FILEF, poteva offrire nella società australiana un modello di “comunismo all’italiana” sulla base delle trasformazioni attuate in Italia dal PCI, un partito che era sì comunista, ma che aveva imparato a staccarsi dall’Unione Sovietica e democratizzarsi tanto quanto bastava per essere d’impatto in un paese occidentale durante la Guerra Fredda.
In questo insieme di cose, appare in Australia Ignazio Salemi, giornalista, attivista e militante del PCI posto a servizio della FILEF che a Melbourne avviò la fondazione della testata Nuovo Paese. Si tratta decisamente di una pagina di vicende particolari, controversi per il loro tempo, che ancora oggi, se studiata, potrebbe far capire come dopotutto la storia australiana non sia poi così noiosa.
Salemi venne inviato in Australia dall’ufficio emigrazione del PCI, dopo che nel 1973 era stato invitato a partecipare alla prima Conferenza dei Lavoratori Migranti.
Salemi trascorse sei settimane in Australia, dove oltre a partecipare a varie conferenze, ebbe incontri con esponenti comunisti e funzionari del lavoro australiani, sindacalisti e lavoratori migranti italiani nelle fabbriche e nei cantieri.
Nato a Roma nel 1928, secondo i documenti ufficiali dell’intelligence australiana (ASIO) risalenti al Febbraio 1976, ora desecretati, Salemi era responsabile “della gestione degli affari del Partito Comunista Italiano in paesi esteri” e di coordinare “la propaganda della dottrina comunista in linea con gli obiettivi della FILEF.”
Due anni prima, un soggetto non identificato aveva consegnato un “adverse report” su Ignazio Salemi e da lì in poi, l’ASIO aveva continuato ad accrescere il numero di fascicoli riservati sul suo conto.
Dopo essere entrato e uscito dall’Australia varie volte a causa delle condizioni fissate dal proprio visto turistico, Salemi si mise al centro di una controversia con il Dipartimento dell’Immigrazione sulla sua domanda di amnistia per ottenere la residenza permanente nel 1976 e a seguito di un’aspra battaglia legale, Salemi perse definitivamente il diritto di rimanere in Australia. Fu arrestato, espulso e deportato in Italia nell’ottobre 1977.
Ma già un anno prima, l’ASIO aveva suggerito al Dipartimento dell’emigrazione di non concedere un’estensione del visto in quanto persona sospetta, sulla base della sua appartenenza al Partito Comunista Italiano. Il Ministro McKellar, in una relazione al Governo nel 1977, sottolineò come “il governo rispetta il diritto delle persone a mantenere convinzioni politiche diverse.
Tuttavia, successivi governi hanno ritenuto che non fosse nell’interesse dell’Australia o dei migranti in Australia che le differenze politiche nei loro paesi di origine dovessero essere perseguite in Australia.”
Nel giugno 1975 Salemi non riuscì ad ottenere una seconda estensione del visto temporaneo concesso nel 1974 e divenne un immigrato illegale. La decisione di deportare Salemi deteriorò in un vero e proprio caso da Guerra Fredda. L’ASIO fornì un riscontro dettagliato dei possibili risvolti della deportazione, secondo il quale il caso non avrebbe avuto un forte impatto mediatico in Italia.
L’Unità, l’organo di stampa del PCI non aveva infatti dato molta considerazione alla vicenda, mentre il quotidiano conservatore milanese Il Giornale era rimasto su posizioni caute.
Furono invece le strigliate contenute nel “Corriere di Settegiorni” di Sydney a finire tra i carteggi dell’ASIO. In un editoriale del 1975, la testata attaccò apertamente la seconda generazione di italiani e la FILEF, il cui obiettivo, si legge, era “di preparare il loro ‘Al Capone’ politico… come seguaci di Mosca e di Pechino” mentre l’organizzazione aveva “mentito al governo australiano” dichiarando di “non essere associata dal PCI.”
Evidentemente, un certo sentimento ostile verso la FILEF esisteva circa il vero peso dei comunisti nella collettività italo-australiana, quando, scrive Settegiorni nel 1976, “gli Italiani d’Australia non hanno la minima intenzione di essere rappresentati dalla FILEF”.
Nel 1975, nel bel mezzo del caso Salemi, il “Tribune” di Sydney riportò la notizia di un incendio doloso alla sede della FILEF di Coburg, con “tre focolai appiccati e una sostanziosa quantità di cherosene spruzzata su carteggi, mobili e pareti.” Sempre dal Tribune si venne a sapere di alcuni “telegrammi di sostegno e offerte di assistenza finanziaria pervenute dall’Ambasciata italiana a Canberra e un certo numero di sindacati.”
Il Globo di Melbourne, infine, si immerse nella vicenda Salemi per screditare il governo australiano e pubblicare un articolo nel Luglio 1976, circa un “regalo” dato dal Ministro della Sicurezza Sociale Australiana alla FILEF come “un’organizzazione para-comunista, non rappresentativa e ignorata dalla maggioranza degli italiani di questo paese.”
La FILEF, in un comunicato ufficiale a firma del Segretario Giovanni Sgrò, inviato al Ministro McKellar decise di insistere sul fatto che i servizi a favore della comunità italiana di Melbourne erano insufficienti di fronte al fabbisogno venutosi a creare e che la permanenza di Salemi era infatti necessaria al fine di migliorare quei servizi. Alle richieste della FILEF, vennero allegate lettere da parte di vari parlamentari australiani, ma davanti alle raccomandazioni dell’ASIO, le richieste a favore di Salemi caddero nel dimenticatoio.
Secondo il giornale The Sun, al fianco di Salemi si mobilitarono fino a 7,000 connazionali italiani oltre che i più alti vertici del Partito Laburista, incluso l’ex Primo Ministro Gough Whitlam. Il Governo Liberale guidato dal Malcolm Fraser però non volle indietreggiare e malgrado la promessa di un’amnistia che avrebbe regolarizzato tutti i migranti che si trovavano in Australia “illegalmente”.
Sul caso Salemi intervenne l’Ambasciatore italiano a Canberra Paolo Canali, che scrisse una nota di richiesta di chiarimenti al sottosegretario dell’emigrazione Lloyd Bott. La risposta delle autorità locali fu limitata, in quanto il caso Salemi si trovava già davanti all’Alta Corte, il cui compito era di decidere se il ministro avesse evaso i criteri di giustizia naturale nel revocare il visto di Salemi.
La deportazione di Salemi rappresentò un radicale cambiamento nei rapporti tra il governo australiano e le organizzazioni italiane, segnato inoltre la rottura dell’alleanza tra i nuovi attivisti seguaci di Salemi e i vecchi attivisti della classe operaia.
Per molti, Salemi divenne il simbolo della sinistra italo-australiana a metà degli anni ’70, mentre le ali conservatrici avevano percepito che il ruolo crescente della FILEF poteva rappresentare una minaccia per la stabilità della comunità italiana.
Secondo Simone Battiston, “il background comunista di Salemi è diventato il pretesto per screditare FILEF e la sua azione agli occhi dell’opinione pubblica australiana ancora suscettibile di una ‘paura rossa’.”
Con la nascita del Governo Fraser, la FILEF dovette subire varie battute di arresto, tra cui un crollo dei finanziamenti da parte del governo federale e l’impatto mediatico sul caso Salemi. Benché sia i comunisti italiani che australiani consideravano Salemi un individuo capace di suscitare consensi tra le masse, il suo arrivo in Australia negli anni 70 provocò un clima di tensioni interne alla FILEF, i cui strascichi sopravvivono ai giorni nostri.
Be the first to comment