Natale in Australia

“Rete Italia: la radio italiana in Australia” annuncia una voce dolce e delicata all’autoradio.

È Natale… l’ha detto la radio e ciò che dice la radio è pura verità. Oppure…

Oggi non c’è Paolo: oggi trasmettono solo musica e qualche giornale radio registrato. Eppure, una barzelletta ci starebbe bene; o qualcosa intonato al Natale Paolo l’avrebbe trasmesso. Magari in dialetto mezzo napoletano. Chissà perché è andato in vacanza proprio il giorno di Natale.

Beh, pensandoci bene, oggi che ha di diverso da ieri?

“Tu scendi dalle stelle” intona il nastro registrato di Rete Italia “e vieni in una grotta al freddo e al gelo” …  Questa poi, te la potevi risparmiare. È vero che oggi è il giorno di Natale anche in Australia, ma non ci sono né le stelle, né il freddo e il gelo. Se non ci fosse l’aria condizionata nell’auto mi sarei già sciolto da un pezzo; minimo ci saranno 40 gradi all’ombra… Eppure è Natale.

Me l’aveva detto anche mamma prima che io partissi: “Che vai a fare in un Paese del Polo Sud dove è Ferragosto in inverno e Natale d’estate? Lasci la tua cultura per abbracciare quella di un popolo di pecorai?” Certo mamma esagerava sempre … Un po’, oppure …

Cambio stazione. Rete Italia senza Paolo è un po’ datata e registrata… prevedibile.

Oddio… non che le altre stazioni locali siano migliori di questa che sta trasmettendo “White Christmas” … Bianco Natale. Si, è Natale ma di bianco, qui, non ci sono nemmeno le pareti delle case.

“Lo sapevate che White Christmas è la canzone più richiesta di tutti i tempi?” mi informa la voce che parla alla 2KY… “Certo” rispondo “e so pure che dice “Quel lieve tuo candor, neve,

discende lieto nel mio cuor …” Ma è la neve che scende o il candor?

Nessuno risponde. Ma guarda un po’ che cafoni: un ascoltatore ignorante fa una domanda e loro continuano con la canzoncina dei fiocchi di neve.

“Sono le undici” informa la radio “e il ristorante Pani e Pesci è aperto per tutti. Gratis. Tutti i giorni. Tutti sono benvenuti, nessuno escluso”.

Questa poi! Ristorante gratis per tutti? “180 Liverpool Road Ashfield” risponde la radio alla mia domanda e io incalzo: “Ma dov’è?”

Ashfield è vicino. Che faccio? Vado?

Trovarlo è stato facile, ma ora non ho il coraggio di entrare; quanti dubbi: mi vergogno, potrebbero pensare che sono un barbone venuto a scroccare un pranzo, oppure un curiosone venuto a ficcare il naso tra i disgraziati, oppure…

Faccio quattro volte il giro dell’isolato. Rallento e guardo dentro, oltre il cancello di ferro. Credevo di avere il coraggio di entrare ma, ad ogni giro, mi sento sempre più a disagio. E, se entro, che faccio? Che chiedo? Entro per interferire, curiosare, giudicare? Conoscendomi entrerei per criticare… ma oggi è Natale e tutti siamo più buoni… e poi come si fa a criticare un ristorante che dà da mangiare gratis? A tutti? Senza fare domande?

“Adesso faccio un altro giro e poi entro” mi autoconvinco.

Parcheggio lontano. Non si sa mai, non vorrei che mi giudicassero benestante e non mi facessero entrare… anche se la radio ha specificato “Tutti e nessuno escluso”.  Quindi vale anche per me. “Ma, in Australia, i barboni hanno l’automobile?”

Giro a destra e tra le due vetrine di un negozio abbandonato c’è una donna accasciata per terra. “Sicuramente sta dormendo” dico a me stesso, tanto per convincermi. Si, respira. Dorme.

Forse è arrivata in anticipo per il ristorante e ha pensato bene di smaltire i festeggiamenti della vigilia. Ci sono delle bottiglie grandi di birra… due vuote e la terza, già rovesciata, da cui è uscito il contenuto allagando e profumando l’ambiente.

Col telefonino, faccio una fotografia. Non tanto per immortalare lo squallore della scena, ma per ricordarmi di questo posto nel giorno di Natale. Potrei scrivere una storia a lieto fine… inventare la storia di una signora che aveva donato i suoi gioielli ai poveri ed ora si trova più povera dei suoi beneficiari; oppure di una madre addolorata per aver visto i figli partire per l’altro emisfero. Oppure…

Chissà perché una persona si debba trovare in tali condizioni … Eppure è … era una bella donna!

“E lei perché fa fotografie?” mi apostrofa una signora passandomi vicino con tono molto duro, come se invece di fotografarla le avessi sparato col mitra.

Nella vita mi sono mancate tante cose, ma mai le risposte. “Sto scrivendo per il ristorante Pani e Pesci e questa immagine servirà a scrivere una storia di Natale, perché ognuno di noi ha diritto ad una storia. Chi sei tu per giudicare ciò che faccio io? Invece di giudicare la donna sdraiata per terra giudichi me, in piedi, che faccio la foto a questa persona costretta a dormire a terra, per strada?”

Dall’espressione della “buona samaritana antifoto” deduco di avere esagerato un pochino.

Non so se abbia capito o se mi abbia compatito. Oppure… Ma la samaritana antifoto se ne è andata contenta, la donna a terra ha tirato un sospiro di sollievo per il silenzio finalmente restaurato, io mi sono dato una ragione per trovarmi in quel luogo il giorno di Natale: sì, una specie di missionario della carta stampata.

Glorificare quelli che sono caduti in disgrazia, non mi sembra il caso. Ma per farlo capire a quelli che sono rimasti in piedi, a volte, è necessario mostrare le disgrazie altrui. Vero che in una società del benessere queste storie vengono volutamente ignorate… ma intanto io la scrivo, poi si vedrà: nel cassetto c’è ancora tanto spazio.

Tutto deve essere perfetto, tutto deve essere pulito, tutto deve essere ordinato. Faccio un altro giro poi entro. E se entro, che dico? Sono qui per invadere la vostra privacy? Sono qui per chiedervi come mai vi trovate in un luogo di carità? Chi sono io per giudicare, il padreterno? E che mi porto a fare la macchina fotografica e il registratore se poi non ho il coraggio di usarli?

Riporto l’attrezzatura in auto e affido alla memoria ciò che segue.

All’ingresso, sopra ad un cartello verde si legge: Exodus Fondation, centro polifunzionale per la salute e l’assistenza. Ristorante gratuito Loaves & Fishes.

Un riferimento religioso c’è perché il ristorante si chiama Pani e Pesci, ovvio riferimento alla parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci. C’è, anche, un grande striscione rosso con la scritta “Pranzo di Natale gratuito per quelli che ne hanno bisogno”. Oppure ho tradotto male… per tutti quelli in bisogno… il discorso cambia. Bisogno di mangiare o “in bisogno” come senza soldi?

C’è perfino l’ambulanza… chissà, forse prevedono che qualche ospite mangerà un po’ troppo e sono pronti a portarlo in ospedale per affrontare l’indigestione. C’è anche una guardia addetta alla sicurezza, simile a quelle presso l’aeroporto; che temano che queste persone diventino violente o semplicemente intendono assicurare che nessuno salti la fila… mah. 

Entro o non entro? Questo è il dilemma shakespeariano!

Non entro, non ce la faccio. Passo davanti all’ingresso e allungo il passo. Il volontario in maglietta verde mi guarda, mi sorride. Evito lo sguardo e procedo, vado oltre il cancello di ferro battuto.

Giro l’angolo ed eccomi nelle strade limitrofe. Ashfield è un quartiere ordinato, ci sono bei negozi, case lussuose, un quartiere costoso. Forse avrei capito la necessità di un ristorante per i poveri in una zona degradata della città, nell’estrema periferia, ma in un quartiere così vicino al centro e così elegante … non me lo sarei mai aspettato.

Mi assale un senso di imbarazzo, di impotenza, di inutilità. A cosa serve scrivere su quelli che non ce l’hanno fatta, su quanti non riescono a mettere sulla tavola il panettone di Natale?

C’è molto silenzio tutto attorno. Qualcuno mi incrocia frettoloso, ma nessuno parla. Perfino gli uccelli sugli alberi del viale sembrano muti… forse beccheggianti per il gran caldo natalizio, altro che neve candida sugli abeti come nelle cartoline. Intorno, solo i rumori delle auto che passano veloci nella vicina Liverpool Road e il rombo di un aereo in procinto di atterrare a Mascot.

Entro o non entro? Torno sui miei passi, nella direzione del grande cancello di ferro. Più mi avvicino e più mi accorgo di persone sole che aspettano: alcune sedute sulle panchine presso la fermata dell’autobus, altre sugli scalini di una chiesa sconsacrata.

Aspettano. Mancano 8 minuti a mezzogiorno… di fuoco, direi, considerato che adesso i 40 gradi all’ombra sono stati superati. Oppure sono io che comincio a bollire? Oppure…

Chissà se queste persone troveranno il coraggio di avvicinarsi oppure prenderanno esempio da me e aspetteranno sulle panchine che arrivi Godot…

O forse tutto ciò fa parte del rituale d’attesa, per cui non è bello arrivare per primi. Oppure non trovano il coraggio di stendere la mano e, piuttosto, se ne vanno affamati per non affrontare l’onta di questa decisione. Un’ulteriore sconfitta inflitta dalla vita che sempre si accanisce contro i perdenti, in una società dove gli ultimi sono considerati meno di niente. Eppure, tra queste persone, ce ne sono tante che conservano ancora un briciolo d’orgoglio e di fierezza che impedisce loro di affrontare l’ultimo scalino, quello più difficile; l’ultimo passo, quello più umano che li porterebbe a trovare cibo e persone.

Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di sorrisi, di compagnia, di affetti che può ricevere dai suoi simili.

Forse ho capito.

Non sto cercando un pranzo natalizio gratis, non ho bisogno di mettere a tacere lo stomaco, non ho portato con me la macchina fotografica per fotografare lo sfarzo delle lucette ornamentali.

Forse ho capito.

È Natale 2018 ed io sto cercando di fuggire dalla solitudine, in cerca di persone con cui sorridere, con cui poter parlare, con cui condividere la bella serata dell’Attesa.

E i pastori, le persone più semplici della terra, furono i primi a trovare il Bambino e ad adorarlo.

Chissà se oltre quel cancello c’è qualcuno pronto ad accogliere “gli ultimi della terra” senza critiche né pregiudizi, ma pronto a porgere loro il vassoio della propria amicizia.

Voglio credere che al ristorante Pani e Pesci abbiano avuto tanta sensibilità, che sappiano bene che non si vive di solo pane anche se la società del benessere tende a generare diversità e divari incolmabili, fatte di ricchezze inimmaginabili e di povertà assolute.

Ecco: ho trovato il coraggio di entrare.

“Buon Natale” mi augura con un sorriso il signore dalla maglietta verde su cui spicca la scritta bianca “volontario”. Non trovo nemmeno il coraggio di rispondere e azzardo un sorriso.

 “Vuoi mangiare?” mi chiede sempre sorridente. “No, grazie, ho già mangiato” rispondo burbero.

Domani i giornali parleranno del Natale, dei ristoranti pieni, delle tavole imbandite… non parleranno certamente dei falliti, di quelli che non ce l’hanno fatta e sono costretti a chiedere invece che dare.

Il mondo dei ricchi e potenti ignorerà, come sempre, i poveri e i disadattati costringendoli a chiedere un pasto offerto da associazioni caritatevoli. Così è, se vi pare, scrisse Pirandello.

“Ma veramente non vuoi mangiare?” incalza imperterrito il signore in maglietta verde. “No, grazie, ho già mangiato” rispondo mentendo con un sorriso.

E il mio sorriso non si ferma lì, accompagna lo sguardo che ruota per tutta la sala in cerca di un volto noto, in cerca di un amico che risponda al mio sorriso.

Niente. Nessuno mi regala un sorriso.

Ancora Pirandello e il suo “Così è se vi pare”

Esco dal cancello di ferro e percorro la via del ritorno. La signora che dormiva per strada non c’è più. Spero abbia trovato la forza di raggiungere il ristorante.

Ci sono ancora persone sole che aspettano sulle panchine e altre sugli scalini della chiesa sconsacrata, vestiti a festa con indumenti recuperarti da qualche Salvation Army, sempre di taglia abbondante e qualche sgualcitura che fa la spia di una notte trascorsa fuori, sulle panchine o sugli scalini.

“Andate, il ristorante è aperto” vorrei dire loro, ma …

Metto in moto e accendo l’autoradio:

“Io, vagabondo che son io, vagabondo che non sono altro, soldi in tasca non ne ho, ma lassù mi è rimasto Dio”.

“Pensi veramente che lassù ci sia Dio?” chiedo alla radio.

“How beg you pardon?” mi risponde in inglese.

“Nothing… sorry. Ho sbagliato stazione” rispondo imbarazzato.

Mi avvio verso casa mentre continua il programma di canzoni poco adatte al Natale. L’Australia è anche questa. Se almeno ci fosse stato Paolo, sono sicuro che avrebbe messo il disco di Carosone con: “Mo’ vene Natale, nun tengo denare, me leggio ‘o giurnale e me vado ‘a cucca’.

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