Tutti possono sbagliare qualche volta nella vita. Sbaglia anche il prete sull’altare, ripeteva spesso nonna Ermelinda, quando le sfuggiva qualcosa di mano. E abbiamo sbagliato anche noi, che abbiamo osato ancora una volta chiedere i contributi per la stampa al Governo Italiano.
A dire il vero non volevo, ma dopo aver consultato i miei collaboratori e soprattutto per un senso di masochismo che mi trascino dietro da una vita, abbiamo deciso di procedere con l’invio della domanda. Per chi non lo sapesse ancora, gli esigui aiuti alla stampa italiana all’estero sono erogati direttamente dal Dipartimento per l’Editoria del Governo Italiano e sono soggetti al parere non vincolante del Comites e da una attestazione del Console locale.
Una specie di “mission impossible” per noi, considerate le incomprensioni che malgrado i nostri vari tentativi di approccio e di distensione, ancora continuano. Potrei soffermarmi a lungo sui motivi della nostra “love story” ma i lettori già ne avranno sentito abbastanza di chi rimanda il giornale cartaceo al mittente e pretende di dare un parere su qualcosa che, secondo la corrispondenza ufficiale, non gradisce ricevere e né tantomeno leggere. Nell’attestazione di accompagnamento alla nostra richiesta, a firma Andrea De Felip, è stato affermato che la nostra testata avrebbe pubblicato nel 2022, l’anno per il quale abbiamo chiesto i contributi, “articoli dal contenuto diffamatorio o che ricorrono in modo sistematico alla rappresentazione non veritiera di fatti e notizie e che come tali travalicano il legittimo esercizio di diritto di critica”.
Il Console di Sydney è libero di scrivere tutto ciò che ritiene opportuno in merito alla nostra testata. Nessuno intende negare un compito richiesto dalla legge ad un pubblico ufficiale e la sua libertà di espressione in una dichiarazione istituzionale. Ci sembra, però, che in questo caso i parametri del diritto di critica vengano limitati al parere soggettivo e personale dello scrivente e non istituzionale del Consolato Generale.
Quello che io considero verità e libertà di stampa, basato su elementi e fatti realmente accaduti, viene bollato come “pregiudizio anti-istituzionale”. Se un evento o un’iniziativa organizzati dal Consolato sono opinabili, credo che la stampa debba poter offrire una critica; se un servizio non è efficiente tanto quanto ci si aspetti, credo che si debba poter dire; se un politico non è adatto a fare politica o non fa gli interessi di chi lo ha eletto, lo si scrive e gli si concede il diritto di replica.
Non mi sono mai permesso di fare commenti sulla vita privata di alcuno o di etichettare persone secondo un valore morale o etico, ma soltanto di offrire un pensiero sui comportamenti pubblici di personaggi pubblici nell’interesse al buon andamento della pubblica amministrazione e della politica. Questa si chiama democrazia.
Nei giorni scorsi, ad esempio, i media italiani hanno descritto il fatto che il governo non è stato capace di garantire una maggioranza in parlamento come “una figuraccia” e chiamato “bibitaro” e “un insulto all’Italia” la nomina di Luigi Di Maio per un incarico UE nel Golfo Persico. Nessuno ha minacciato diffamazioni dopo queste esternazioni dei giornali, anzi, il Governo ha chiesto scusa agli italiani e Di Maio non è intervenuto sulla questione. Se non è ammessa nessuna critica, anche se dire la verità possa venire considerata come critica, sicuramente ci avrebbe pensato il parlamento a scriverlo in una legge e il governo attualmente in carica ma anche Di Maio avrebbero minacciato i giornali italiani di calunnia.
Onde evitare equivoci, quindi, nessuno mette di dubbio che il Console sia libero di scrivere quanto ritiene più opportuno nelle sue attestazioni sul nostro periodico, ma davanti a delle accuse molto gravi, bisognerebbe anche indicare al Dipartimento per l’Editoria quali siano e dove si trovino questi presunti testi di “articoli dal contenuto diffamatorio o che ricorrono in modo sistematico alla rappresentazione non veritiera di fatti e notizie”.
Allegato all’incartamento inviato a Roma per la decisione del Dipartimento per l’Editoria se accordare o meno i contributi, c’è anche un verbale della seduta via Zoom del Comites di Sydney che, in modo sintetico, spiega l’andamento della votazione. Il verbale, a mio modesto avviso, è poco descrittivo di quanto detto dai consiglieri.
Una motivazione complessiva per il parere negativo del Comites non sembra esserci. Sono state riportate, in parte, le dichiarazioni dei ‘capolista’ Maurizio Aloisi (Noi Italiani) e Luigi di Martino (Insieme). Hanno votato a favore dei contributi: Maurizio Aloisi, Antonia Scorciapino e Domenico Leuzzi. La motivazione del voto favorevole espressa da Aloisi non è stata riportata sul verbale, se non il fatto che Aloisi si sia “appellato alla libertà di stampa” e che secondo Di Martino l’opposizione abbia “confuso la libertà di stampa con l’accesso ai contributi”.
Si sono astenuti, motivando la loro decisione: Paolo Rajo e Marco Testa. Hanno votato contro: Allan Micallef, Michele Grigoletti, Lisa Genovese, Marco Zangari e Luigi Di Martino, in quanto a dire di quest’ultimo, “la pubblicazione in esame non solo non ha contribuito ma ha spesso ostacolato il lavoro delle istituzioni italiane nel NSW.”
Come già discusso per l’attestazione del Console, anche il Presidente del Comites ha diritto a dire la sua, ma è giusto fare alcune precisazioni. Il Presidente Di Martino dovrebbe sapere che i Comites non fanno parte del Sistema Italia, in quanto si tratta di enti privati di utilità pubblica. Il Sistema Italia include le Ambasciate, i Consolati, gli Istituti di Cultura, le Scuole Italiane all’Estero e alcune agenzie governative che operano nel mondo, l’ENIT, l’ICE e la rete delle Camere di Commercio.
Se di “confusione” si parla, eccone una e il Presidente del Comites sembra aver confuso il Sistema Italia con i Comites. La seconda precisazione è che avremmo “ostacolato il lavoro” delle sopra menzionate istituzioni. Fatto salvo il Consolato (e solo quello di Sydney), gli altri soggetti del Sistema Italia ricevono e leggono il nostro periodico. Di alcuni di loro abbiamo intervistato i dirigenti, pubblicato le cronache dei loro eventi e ricevuto perfino email di apprezzamento.
Abbiamo anche pubblicato articoli critici sul Made in Italy, su iniziative che a dire di alcuni collaboratori, avrebbero potuto essere migliorate, organizzate meglio, adattate alle necessità e alla storia della nostra comunità in Australia o coinvolgere un numero più ampio di partecipanti.
Finora, nessun soggetto del Sistema Italia ci ha fatto sapere che avremmo “ostacolato” il loro lavoro, ma nel caso in cui queste istituzioni abbiano voluto esporre ufficialmente e per iscritto al Comites elementi negativi nei nostri confronti, sarei grato al Presidente Di Martino di farmene avere copia, affinché il periodico sia messo in condizione di esaminare e rispondere direttamente agli interessati in un clima di rispetto istituzionale.
Il gossip privato e informale lo lascerei ai salotti e ai corridoi. Se non vera, come credo che sia, l’affermazione del Presidente del Comites che avremmo “ostacolato il lavoro delle istituzioni italiane nel NSW” lede non solo la nostra comunità, che vede un suo organo di stampa privato di necessari contributi per continuare ad esistere, ma le istituzioni del Sistema Italia operanti in loco, che si vedono ingiustamente coinvolte in questa vicenda.
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