Quattro proposte problematiche per riformare i Comites

Ad un recente incontro dei Comites, sono stati avanzati alcuni punti di riforma di questi enti, così che se in molti riconoscono la necessità di portare la rappresentanza di base al passo con i tempi, le proposte di riforma del ruolo dei Comites risultano mediocri, oltre che problematiche.

Tra le “nuove funzioni” contenute nella proposta di riforma andrebbero assegnati ai Comites quattro importanti compiti: (a) assumere il ruolo fondamentale di “difensore civico” delle comunità verso le autorità italiane e quelle locali (in questo secondo caso, in collaborazione con le rappresentanze diplomatico- consolari); (b) essere soggetto esponenziale del Sistema Italia sul territorio; (c) contribuire e partecipare all’elaborazione dell’annuale Piano Paese ministeriale; (d) poter esprimere pareri vincolanti.

Davanti a queste proposte, bisogna innanzitutto ricordare che le esperienze maturate in trent’anni di Comites elettivi ci hanno insegnato quanto queste novità appena descritte non solo non rispecchiano le esigenze di connazionali sempre più lontani dalle istituzioni, ma possono rivelarsi dannose davanti alle limitate capacità di individui il cui solo merito di componenti dei Comites è l’elezione diretta, come a dire che basti passare dalle urne, magari con appena qualche centinaia di voti, per sanare le evidenti problematiche legate alla natura di questi organismi.

Decenni di rapporti, segnalazioni, pareri dell’avvocatura, interpellanze parlamentari e relazioni ministeriali varie hanno ampiamente dimostrato come non basti una riforma dei Comites. Gli stessi andrebbero interamente soppressi e l’impianto di rappresentanza – semmai sia ancora necessario – costruito nella sua totalità – anche a seguito della presenza di parlamentari eletti all’estero.

Mi permetto di suggerire che si inizi con un sondaggio ben articolato sulle problematiche degli italiani all’estero. Quali sono le aree di interesse? Accesso ai servizi? Assistenza all’estero in casi di emergenza? Promozione della lingua e della cultura italiana? Favorire la coesione delle comunità locali? Una volta ascoltati i cittadini e definite le priorità, si dovrebbe intervenire negli ambiti in cui le esigenze dei connazionali all’estero non possono essere soddisfatte attraverso le attuali strutture del Sistema Italia. Appare superfluo riunire dodici o più persone per cinque anni o discutere di come riformare i Comites se i dati sono basati solo sul “sentito dire”.

Nel 2024, dare vita a dei Comites frutto di una riforma che riguarda soltanto una maggiorazione di poteri rappresenta un chiaro ostacolo alla semplificazione e all’efficacia del Sistema Italia. Servono meno enti inutili e più servizi erogati, trasformando ogni sede diplomatica all’estero in un vero e proprio centro di assistenza per il cittadino. Ogni sede dovrebbe essere dotata di un ufficio consolare, un ufficio culturale e linguistico, un ufficio commerciale, con il ripristino dell’ufficio previdenziale e creando un ufficio per la coesione comunitaria guidato da un dirigente. Tutto questo deve essere gestito da personale qualificato e responsabile secondo i criteri della pubblica amministrazione.

Senza voler sminuire la bozza di riforma, comunque, partiamo esaminando la prima proposta: (a) il ruolo del Comites come “difensore civico”. Nell’ordinamento italiano, il difensore civico è un istituto a carattere regionale che interviene in casi di disfunzioni o abusi della pubblica amministrazione e a tutela dei diritti e degli interessi legittimi, garantendo efficienza, correttezza, imparzialità e buon andamento della stessa. L’aspetto cardine del difensore civico è la sua indipendenza rispetto ai vertici politici, che lo qualifica come “autorità amministrativa indipendente sui generis”.

In tempi recenti, abbiamo visto come alcuni Comites abbiano concorso nel perpetrare abusi di potere, anche in collaborazione con capi degli uffici consolari denunciati alle autorità ministeriali e giudiziarie, e a casi in cui singoli dipendenti dello stato italiano all’estero, con il silenzio dei Comites, abbiano purtroppo contribuito a una gestione clientelare e personalistica dei pubblici uffici, con la scusa della crisi pandemica e senza alcuna possibilità di un immediato intervento e controllo da parte degli organi superiori. Inoltre, va ricordato che l’indipendenza dei Comites, allo stato attuale, si scontra con molteplici casi di commistione tra il ruolo di membri eletti, quanti ricoprono cariche dirigenziali di partito o sono portatori di particolari interessi di enti che traggono benefici dai procedimenti della pubblica amministrazione. Efficienza, correttezza e imparzialità non sono mai state qualità in cui i Comites hanno dato prova di sé.

La proposta di far divenire i Comites elettivi “difensori civici” vedrebbe questi organismi, estranei alla pubblica amministrazione e privi di organi superiori di controllo, dotati di penetranti poteri di indagine e della facoltà di divulgare in modo ufficiale le proprie conclusioni sull’operato delle sedi diplomatico-consolari. A questo va aggiunto che nei confronti del paese ospitante, il riconoscimento giuridico di un particolare ente come “difensore civico” richiederebbe almeno un accordo tra governi, il cui assenso non può darsi per scontato, così che la proposta di riforma inserita nel testo, potrebbe presto diventare lettera morta.

Se per “difensore civico” si intende invece un ente che tutela con efficacia i diritti e gli interessi degli italiani anche nei confronti dello stato estero, questo compito spetta principalmente alla diplomazia, come stabilito dai trattati internazionali. Tuttavia, una serie di noti insuccessi nella salvaguardia del patrimonio e nella promozione della lingua e della cultura italiana in Australia ha messo in evidenza l’inefficienza dei Comites nel produrre risultati concreti anche nei rapporti con lo stato ospitante.

Questi insuccessi includono l’impotenza nell’assistere e riunire la comunità quando associazioni e centri culturali sono stati posti in liquidazione, e la mancanza di una strategia collettiva intesa a prevenire la chiusura di corsi universitari di italiano su scala nazionale. Il risultato non sarebbe stato diverso se l’ente fosse stato investito del ruolo di “difensore civico”.

Passiamo quindi al secondo punto di riforma: (b) i Comites quali soggetti esponenziali del Sistema Italia. La dicitura “Sistema Italia” riguarda l’insieme delle istituzioni pubbliche che concorrono allo sviluppo dell’Italia all’estero: Ambasciate, Consolati, Istituti di Cultura, ENIT, ICE, Camere di Commercio riconosciute dallo stato italiano e altri soggetti della pubblica amministrazione all’estero.

A differenza di questi enti periferici dell’azione di governo, il Comites è un organo di rappresentanza degli italiani all’estero che cura esclusivamente i rapporti con le sedi diplomatico- consolari. A seguito del ristretto ruolo nei confronti dei consolati, i Comites non possono essere soggetto “esponenziale” del Sistema Italia all’estero. I Comites, a livello territoriale, non rappresentano lo stato e nemmeno sono qualificabili come enti locali o soggetti pubblici. Essi sono soggetti privati di utilità pubblica, sono di ausilio, ovvero “danno una mano” all’azione delle sedi diplomatiche all’estero nel captare i problemi della collettività.

Negli ultimi anni, però, abbiamo assistito a Comites che intraprendono iniziative di progetto con fondi ministeriali e locali, il che li ha resi progressivamente “indipendenti” dal Sistema Italia, assumendo per lo più un carattere in stile associazionistico sovvenzionato dal Ministero degli Affari Esteri. Volendo essere generosi ed equiparare i Comites ai Consigli Comunali, anche questi ultimi non partecipano direttamente alla politica di indirizzo di governo, ma attraverso la “Conferenza Unificata Stato, Regioni, Province Autonome e Comuni,” esprimono carattere consultivo e in particolari materie. La presenza dei Comites nel Sistema Italia è comunque garantita attraverso una riunione annuale con tutti i diplomatici e gli enti gestori, nonché dall’elezione di secondo livello dei membri del CGIE.

Rivestire i Comites di un ruolo imprecisato nel Sistema Italia, con il rappresentante di un “parlamentino” eletto dai cittadini italiani, non farebbe altro che appesantire inutilmente la già complessa struttura dell’amministrazione italiana all’estero.

Al terzo posto troviamo: (c) contribuire e partecipare all’elaborazione dell’annuale Piano Paese ministeriale. Ancora una volta, questo non può essere possibile se non attraverso una soppressione dell’aspetto elettivo dei Comites e l’inserimento dell’ente all’interno della struttura ministeriale, con figure competenti in materia. Un gruppo di individui eletti a cadenza irregolare, non sempre ogni cinque anni, a volte anche con procedure dubbie come la mancanza di verifica delle firme, portatori di interessi particolari e senza alcuna disciplina interna di condotta, difficilmente potrebbero partecipare a definire le strategie di governo.

A livello ministeriale, i Comites sono comunque tuttora rappresentati dal CGIE, il quale è per sua natura “l’organismo di rappresentanza delle comunità italiane all’estero presso tutti gli organismi che pongono in essere politiche che interessano le comunità italiane all’estero”.

L’ultima novità auspicata è senza dubbio la più controversa: (d) concedere ai Comites la possibilità di esprimere pareri vincolanti. Allo stato attuale, i pareri dei Comites sono obbligatori ma non vincolanti… e meno male! La Pubblica Amministrazione può dissociarsi dal parere dei Comites, senza dover giustificare il perché. Importanti casi, negli ultimi anni, hanno evidenziato come alcuni pareri espressi dai Comites possano essere basati su personalismi.

Non si esclude, inoltre, il rischio di eventuali voti di scambio con individui che vengono eletti al Comites per favorire una particolare lobbistica. Almeno un Comites nella storia è stato denunciato per falso ideologico a seguito dell’espressione di un parere obbligatorio. È noto che per alcuni pareri, la documentazione viene inviata in modo trasparente a quanti devono esprimere parere, mentre altri pareri sono espressi senza che tutti i membri dei Comites abbiano libero accesso agli atti.

Dall’altro lato, esperienze documentate hanno evidenziato come i pareri dei Comites possono essere utilizzati quali strumenti per silenziare la stampa, indurre al fallimento enti gestori o recare un danno all’immagine e all’onore della stessa Pubblica Amministrazione. Almeno sulla carta, i componenti dei Comites sono configurabili come pubblici ufficiali quando esprimono pareri vincolanti che contribuiscono al volere della Pubblica Amministrazione.

In pratica, però, nel caso in cui i membri dei Comites dovessero esprimere dichiarazioni mendaci e palesemente contrarie ai cardini di efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza, i reati commessi all’estero rimangono impuniti. Se veramente si vuole intervenire sui Comites, bisognerebbe renderli organismi di efficacia, con personale nominato sulla base di merito e per concorso pubblico, magari anche attraverso la selezione di individui in loco aventi una comprovata conoscenza e capacità di gestione della cosa pubblica e provenienti da vari settori della società.

Al fine di preservare l’aspetto elettivo, si potrebbe considerare l’istituzione di un comitato consultivo a livello consolare, anche se i costi dell’esercizio del voto appaiono difficilmente giustificabili a meno che non si proceda con un sistema di voto elettronico.

Un aspetto positivo dei Comites di nomina consolare pre- 2003, che generalmente viene ignorato, era il fatto che l’esistenza di un Comites inefficiente poteva essere direttamente attribuita al diplomatico che ne aveva nominato i componenti. Con l’avvento dei Comites elettivi, purtroppo, anche in casi in cui a dirigere l’organismo sono soggetti ostili e divisivi della stessa comunità, il capo della rappresentanza diplomatico- consolare sarà propenso a rispondere semplicemente con “dobbiamo tenercelo”.

La riforma dei Comites è ormai largamente auspicata. Se il fine è realmente migliorare la rappresentanza e l’assistenza agli italiani nel mondo, occorre un approccio radicale che non si limiti a riformare gli attuali Comites, ma che riconsideri interamente il loro ruolo e la loro struttura, in modo da garantire enti efficaci e al passo con i tempi.

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