In Italia poca gente segue le cronache economiche, pochi capiscono i ragionamenti degli economisti e i commenti in TV spesso confusi.
Quando si sente parlare di tassi, spread e mille altri termini inglesi (che hanno i loro perfetti sinonimi in italiano, ma dirli in inglese fa molto figo) si resta incerti e si cambia canale.
Tutti, però, soprattutto quando in autunno si parla di legge finanziaria, ci accorgiamo che qualcosa non quadra e ci sembra di vivere sotto una “cupola” finanziaria che ci controlla la vita, organizza il mondo (almeno quello occidentale e soprattutto quello europeo) e fissa i prezzi di tutto, dai farmaci all’energia, dal costo del mutuo al futuro dei nostri risparmi.
Perché non c’è più l’ “Europa dei Popoli” e neppure dei cittadini, ma vince “l’Europa dei banchieri” alla quale anche i capi di stato e di governo devono adeguarsi e rendere omaggio perché altrimenti, se criticano troppo il “giro”, finiscono prontamente a fondo e con loro i rispettivi paesi “ricattati” dai media che sono in mano alle banche a loro volta controllano finanziariamente i loro editori.
Nel gioco sottile della moneta unica (che ha avuto anche grandi vantaggi di stabilizzazione, non dobbiamo dimenticarcelo) già per cominciare chi a suo tempo ha dato le carte (era il tempo dell’Italia di Prodi) ha valutato poca cosa la nostra lira al momento del concambio in Euro, ma d’altronde eravamo con le pezze sul sedere.
Di fatto l’Italia “conta” circa il 14% dell’Europa, ma molto meno in campo finanziario sia perché ci viene continuamente ripetuto che siamo debitori quasi insolventi e che in buona sostanza facciamo debiti nuovi per coprire quelli vecchi.
La lunga premessa è per sottolineare come sia ben difficile contestare da posizioni di forza le scelte della Banca Centrale Europea che nel suo sito sostiene che “il suo compito principale è mantenere la stabilità dei prezzi, favorendo in tal modo la crescita e l’occupazione.”
Per esempio il mese scorso la BCE ha ridotto gli interessi dello 0.25% per “raffreddare” il costo del denaro, ridurre l’inflazione e rilanciare così teoricamente l’economia.
Perché l’inflazione che cinque anni fa era nulla è schizzata di colpo e come mai i mutui costano comunque ben più cari di allora? Una delle risposte si chiama guerra in Ucraina, con l’Europa che si è auto-evirata non volendo più avere rapporti e forniture energetiche ufficiali con la Russia nel momento in cui – causa COVID – vi era già una situazione di deficit e generale estrema debolezza economica.
Salendo l’inflazione (che non era dovuta a carenza di beni sul mercato, ma ai maggiori costi per produrli, è un aspetto molto importante) la politica BCE è stata di aumentare velocemente i tassi, copiando l’esempio della FED americana. Di colpo così le banche – che continuavano e hanno continuato a pagare poco o niente per interessi ai propri clienti sulle somme depositate – hanno potuto così far schizzar il costo dei soldi prestati (che erano però sempre dei clienti) guadagnando loro (e non i clienti) somme favolose.
Un bengodi, ma mettendo in crisi le imprese e le famiglie che avevano fatto investimenti e che con l’aumento dei tassi non erano più in grado di pagare i debiti, di qui anche la crisi europea e tedesca in particolare.
Calati i consumi perché c’era poco da spendere è scesa l’inflazione che ora è più o meno tornata ai valori di cinque anni fa. Uno si aspetterebbe che di conseguenza anche i tassi bancari fossero scesi al livello di allora e invece no: i tassi sono scesi in modo solo millimetrico permettendo alle stesse banche di continuare però a godere in buona parte di quegli extraprofitti mentre le imprese produttive soffrono la crisi e non possono investire.
L’anno scorso il governo Meloni propose una cosa semplice ma secondo me corretta: tassare questi mega-profitti sui quali le banche non avevano alcun merito operativo, ma la proposta è finita in nulla per il ricatto subito messo in campo dalla grande finanza: “Fammi pagare di più e io ti taglio le gambe con l’informazione che controllo” con la BCE – che è la banca delle banche – che non vuole togliere le uova d’oro dal nido dei propri soci-clienti.
Con un indice di inflazione che oggi è meno del 2% il tasso minimo applicato su un prestito va ancora comunque ben oltre il 5% con punte molto più elevate per il famigerato “prestito al consumo” proposto da banche e finanziarie-strozzine varie ai poveri cristi, spesso ben oltre il 15%. Una vergogna, ma che non impressiona più di tanto la BCE.
Eppure – se i tassi fossero tornati a livelli 2020 – a guadagnarci non sarebbero stati solo le aziende che avrebbero potuto così nuovamente investire, ma gli stessi governi perché la riduzione del costo del denaro sul debito pubblico pregresso farebbe risparmiare somme enormi all’ Italia, soldi dirottabili a chieder meno fondi a prestito oppure a finalmente ridurre le tasse o ad aumentare gli interventi e/o la spesa sociale.
Ma nonostante le chiacchiere (piano Draghi) si preferisce far guadagnare somme folli a banche, colossi farmaceutici, petrolieri ecc.ecc. Brutta faccenda…