Le polemiche successive al ritiro della pugile italiana Angela Carini, trovano un quasi corrispettivo nel 1936, alle olimpiadi di Berlino, anche se tutti i commentatori televisivi e politici paiono ignorare quella vecchia vicenda, simile a quella della algerina Imane Khelif. La grande differenza sta essenzialmente nel fatto che nel 1936 le donne non tiravano pugni sul ring e questo fa la differenza. Nel salto in alto o nella corsa una sedicente donna con cromosomi maschili potrà vincere, ma nel caso del pugilato potrà uccidere e provocare traumi cranici.
Notevole il fatto che oggi non si parli di abolire il pugilato, tout court, anche fra uomini, un tema ricorrerente sino a quaranta o cinquant’anni fa. Mi dilettavo di pugilato a 18 anni e pensai di fare un tentativo a livello dilettantistico nella “nobile arte” ma mio padre rifiutò di firmare il documento liberatorio e solo l’anno successivo venne fissata la maggiore età a diciotto anni invece che a ventuno. Forse gliene dovrei essere grato.
Veniamo alla dimenticata vicenda di Dora Ratjen:
Dora Ratjen nacque con organi genitali formati impropriamente che portarono l’ostetrica, alla sua nascita, a determinare erroneamente la sua condizione femminile. Anche se sembra che i suoi genitori avessero qualche dubbio, l’hanno cresciuto come una ragazza e lo vestirono con vestiti femminili. Crebbe preda di grande confusione intrappolato in un genere sbagliato, in mezzo alle ragazze. Fu un solitario, evitando la compagnia ma si interessò allo sport e s’iscrisse a un club di atletica leggera, eccellendo nel salto in alto, e trovandosi infine scelto per l’allenamento preolimpico nella squadra tedesca per i giochi del 1936.
Qui incontrò per la prima volta le saltatrici Elfried Kaun e Gretel Bergmann, le foto mostrano “le tre donne allegre e rilassate”. La Bergmann disse : “Non ho mai avuto sospetti, nemmeno una volta. Nella doccia comune ci siamo chieste perché non si fosse mai mostrata nuda. Era grottesco che qualcuno fosse ancora così timida a 17 anni. Abbiamo pensato: ” È strana. È bizzarra.”
Anche se Kaun pensava che Dora Ratjen fosse molto mascolina, non si sognò mai che la sua collega fosse davvero un uomo. Come ricorda: “Abbiamo avuto un ottimo rapporto sui campi d’addestramento, nei viaggi e durante le competizioni. Ma nessuno sapeva o notava nulla circa la sua diversa sessualità.”
Sembra chiaro, dunque, che Ratjen ingannò tutti.
La verità emerse solo due anni dopo le Olimpiadi, Dora Ratjen, che ancora con successo gareggiava come donna, vinse una medaglia d’oro nella gara di salto in alto ai campionati europei, stabilendo un nuovo record del mondo. Pochi giorni dopo, nel settembre 1938, la polizia l’arrestò, dopo che il conduttore d’un treno riferì di un uomo che s’atteggiava a donna. Fu visitato da un medico, che confermò che si trattava d’un uomo. Il procedimento penale fu iniziato per sospetta frode e Ratjen fu inviato in un sanatorio sportivo per ulteriori esami, che confermarono che lei era…un lui. Nel gennaio 1939 la sua iscrizione nel registro di nascita fu modificata per registrare il suo vero sesso e il suo nome cambiò in Heinrich. Qualche settimana dopo il procedimento penale fu archiviato, per il fatto che l’inganno non era stato commesso per lucro. Ratjen aveva già ammesso d’essere un uomo al momento dell’arresto e aveva promesso di smettere di praticare sport con effetto immediato. La sua vittoria ai campionati europei fu cancellata e lui restituì la medaglia d’oro, che fu poi presentata alla seconda classificata.
Furono fatti degli sforzi per dare a Ratjen una vita normale. L’ultima nota negli archivi della polizia, dell’agosto 1939, afferma che gli fu dato un libretto di lavoro, documenti d’invalidità e fu iscritto al Fronte del lavoro tedesco. Gli furono dati nuovi documenti d’identità e di lavoro e fu portato ad Hannover “come lavoratore”, secondo il documento. La comunicazione fu inviata al Ministero dello Sport del Reich, a varie stazioni di polizia e ai tribunali competenti. Non c’è nulla che suggerisca che gli alti funzionari abbiano cercato di mantenere segreto il caso o di limitare il numero di persone che ne fossero a conoscenza. Sembra che le autorità tedesche abbiano affrontato la questione con una certa comprensione e simpatia. Nessuno fu perseguito e ogni sforzo fu fatto per offrire a Ratjen una nuova vita. In circostanze normali, il giovane aveva ancora solo 19 anni, si sarebbe lasciato il passato alle spalle e avrebbe goduto d’una nuova vita, liberato da ogni bisogno d’ingannare.
Dopo la guerra Ratjen rilevò il bar dei suoi genitori, a Brema e resistette a numerosi tentativi d’intervistarlo, ma la rivista americana Time pubblicò nel 1966 un articolo che discuteva dei grandi impostori femminili della storia, in cui Ratjen era presente. Presumibilmente, la rivista era riuscita a intervistarlo in quanto riportava che egli “confessava in lacrime” che i nazisti lo avevano costretto a rappresentare la Germania come donna. Citava anche lui dicendo: “Per tre anni ho vissuto la vita di una ragazza. È stato molto noioso.”
Poco dopo l’articolo sul Time apparve un articolo sullo stesso argomento sulla rivista Life, che informava i suoi lettori come, dopo la Seconda guerra mondiale, Ratjen: “Ammise di essere stato un vero e proprio falso – costretto a competere dal Movimento giovanile hitleriano per vincere medaglie per il Terzo Reich.”
L’esposizione di Ratjen come impostore femminile viene continuamente messa in evidenza e un film intitolato Berlin 1936 che è stato prodotto per drammatizzare questa storia, anche se Ratjen è stato ritratto con un nome diverso.
Il film non è stato mostrato in pubblico prima del 2009, l’anno successivo alla morte di Ratjen, anche se potrebbe essere stato concepito e girato prima della sua morte. Si guadagnò una certa aria di autenticità con l’inclusione d’una vera intervista a Gretel Bergmann, verso la fine. Gretel Bergmann era ebrea e lasciò la Germania nel 1937 con la famiglia, stabilendosi a New York.
Nel 2009, la storia raccontata da Time e da Berlin 1936 è stata confutata da Der Spiegel una rivista internazionale di grande prestigio.
Questa rivista ha sottolineato che le informazioni su Ratjen nell’articolo sul Time erano scarne e imprecise, riferendosi a lui come ‘Hermann’ e sostenendo che stava lavorando come cameriere a Brema. “Purtroppo”, dice Der Spiegel “questo ritratto è stato quello che fu diffuso da quel momento in poi, e ripetuto altrove sulla stampa”.
Der Spiegel ha anche reso pubblico un fascicolo contenente i risultati di un’indagine condotta nel 1938 e nel 1939. Questo è stato fornito dal dipartimento di medicina sessuale dell’ospedale universitario di Kiel, alla cui testa, il professor Hartmut Bosinski, aveva fatto ricerche su quel caso, perché aveva dimostrato scientificamente che i ragazzi non possono essere educati a essere ragazze.
La pratica della polizia tedesca, prima sconosciuta, contiene dichiarazioni di Ratjen, di suo padre e di molti altri. Ciò dimostra che Dora frequentava una scuola femminile e fu religiosamente cresimata nel 1932 come ragazza. Ratjen lo disse alla polizia nel 1938: “I miei genitori mi hanno cresciuto da bambina. Ho quindi indossato i vestiti da ragazza per tutta l’infanzia. Ma dall’età di 10 o 11 anni ho iniziato a capire che non ero una donna, ma un uomo. Ma non ho mai chiesto ai miei genitori perché dovevo indossare abiti da donna anche se ero maschio.”
Secondo Der Spiegel quel fascicolo: “Non contiene il minimo straccio di prova del presunto complotto Nazista. Infatti, i documenti suggeriscono che i nazisti scoprirono la vera identità genetica del loro atleta solo dopo la fine dei giochi olimpici.” Anche un rapporto di cinque pagine firmato personalmente dal capo della sicurezza, Reinhard Heydrich: “Non contiene alcuna traccia di precedenti manipolazioni.”
Sembra chiaro, dunque, che non ci fu alcun complotto nazista e il film fu pura finzione. Inoltre, sarebbe stato sicuramente facile per i nazisti, soprattutto in considerazione della loro reputazione di assoluta spietatezza, creare una copertura non appena scoperto l’inganno, ma invece esposero tutto, facendo in modo che il precedente record di salto in alto fosse ripristinato e restituendo la medaglia d’oro agli organizzatori dei Campionati Europei per poterla passare al secondo classificato, che, incidentalmente, fu l’ebrea ungherese Ibolya Csàk.
Altri commentatori della storia di Berlin 1936 non sembrano essere stati così diligenti come Der Spiegel. Alcuni hanno persino sbagliato il nome di Ratjen, chiamandolo Horst o Hermann, invece di Heinrich. Questo può, forse, indicare quanto poco importasse il Ratjen, come essere umano.