Caffè Scorretto: La situazione è grammatica

Le parole sono importanti. Se poi c’è chi le usa ad minchiam mostra una fotografia triste che secca e rende difficile ogni speranza di «cambiamento» proiettandoci nella certezza che solo una puntata di «Temptation Island» salverà il mondo. Perché noi siamo quello che mangiamo ma anche ciò che pensiamo, diciamo e il modo in cui lo facciamo. Non si dice “pultroppo” o “albitro” ma “purtroppo” e “arbitro”. 

Neppure si dice “assemblamenti” (anche se, a ben guardare, qualche mente sopraffina avrebbe bisogno di essere “assemblata”) ma “assembramenti”. Neanche “propio” va bene, la forma corretta è “proprio” e nemmeno si può usare il “piuttosto che” col significato disgiuntivo di “o – oppure” per indicare un’alternativa equivalente.

Piuttosto che dire sciocchezze, sarebbe opportuno rimanere in silenzio (questo è l’uso corretto e significa “anziché”). Andrebbe pure eliminato l’uso di “avvolte” che è il participio passato del verbo “avvolgere”. Lo abbiamo trovato in una lettera di scuse da parte di Federalberghi indirizzata ad alcuni turisti che ospitati in una struttura ricettiva a Forio tra il febbraio e il marzo del 2020 furono costretti a partire qualche giorno dopo. 

Per chi lo avesse dimenticato, la questione ha riguardato lo sbarco di alcune persone giunte da una delle zone del nord più colpite dal Covid in quel periodo. Poiché tra loro c’era un contagiato, poi trasferito a Napoli, furono molti ad insorgere per la paura di un’eventuale diffusione del virus sull’isola. Il “verbo” fu usato al posto della locuzione avverbiale “a volte”.

Che dire poi dell’abuso di “e quant’altro”? C’è addirittura chi elimina l’apostrofo, un danno sicuramente maggiore – o minore, dipende dai punti di vista – rispetto al suo uso smodato che in certi casi crea non poco fastidio perché ha il sapore della formula rigida e preconfezionata, nel senso che si disimpara a cercare di volta in volta la soluzione [lessicale] più adeguata alla situazione. Si tratta evidentemente di un atteggiamento – mentale, “soprattutto” (la forma “sopratutto”, con una “t”, abbastanza diffusa, è da considerarsi scorretta secondo la Treccani) – che “a volte” si traduce in una deficienza. La quale poi produce riverberi anche nel comportamento. 

Alcuni tra gli amministratori (oltre il tipo di vocabolario che di solito utilizzano), ma solo per evitare di accennare alla totalità, mostrano sul piano del governo il medesimo modo di fare: usano formule rigide e preconfezionate, soffocando la ricerca di nuove soluzioni, più adeguate, da applicare alle difficoltà per tentare di risolverle. A pensarci bene il problema sta proprio qui. «Cambiare» ha sempre rappresentato un verbo con il quale non siamo mai andati d’accordo. 

Si tratta in fondo di fare autocritica e mutare il rapporto di trasmissione con la realtà che ci circonda che presenta l’esigenza di migliorare le condotte individuali e collettive. “Saper guidare bene” si dice, combattendo ciò che non funziona per rendere migliore il tenore di vita. Siamo un po’ riluttanti quando si tratta di intercettare ipotesi di trasformazione o utilizzare nuovi modelli, com’è chiaro da tempo, perciò dovremmo imparare a essere più flessibili. Nessun sindaco è elastico quando si tratta di pensare alle sorti dell’isola affrontando i problemi comuni che coinvolgono ogni frazione. Al contrario è perfettamente rigido nel considerare solo il comune che governa – quando va bene – eliminando ogni discussione con gli altri. Una sorta di chiusura all’ascolto che determina l’incapacità di usare un vocabolario diverso. Come chi, abituato ad adoperare le parole sbagliate, continuasse come un mulo a servirsene per abitudine, pur essendo conscio di sbagliare.

C’è poi chi costruisce discorsi buoni per le interviste, edificati sul “sarebbe esigenza comune di tutti i sindaci mettersi insieme”, cui non fa seguito però la volontà di aprire una finestra per il dialogo e tradurre l’esigenza in azione. Alcuni affermano di lavorare per il bene comune tronfi di ambizione. E lo fanno, per carità, immersi nei loro ruoli alle messe di commemorazione dopo aver indossato la fascia tricolore. 

Nella lista rientra il dirigente o il consigliere comunale, fatta qualche eccezione, che occupa la seggiola nella loggia della maggioranza o dell’opposizione. A proposito di quest’ultima, o tutte e sei considerando che i comuni sono (ancora, purtroppo) sei, si può cominciare a fare una riflessione chiedendosi che ruolo hanno in effetti le minoranze, la cui vita amministrativa spesso appare silenziosa e si muove nel buio evitando i riflettori, per esempio i social network e quelli della stampa locale. 

Bisogna ricordargli che si tratta pur sempre di un ruolo pubblico e che, in qualche caso, l’uso delle denunce (anche queste ad minchiam) – come le parole – mostra un registro di comportamenti discutibile, specie se esclude a priori il colloquio o lo scontro nei Consigli comunali. Forse esiste la paura di scoprire che pure i consiglieri di minoranza, come quelli di certe maggioranze, sono impegnati a distribuire bromuro agli uccelli che volano dolcemente per renderli amari alla collettività isolana distogliendo l’attenzione dal problema e, al contempo, sottrarsi alle critiche? 

Vorrà dire che in tal caso ce ne faremo una ragione, sapendo che tali condotte sono diffuse tra i bambini. Si può fare allora una considerazione, riguarda proprio la voce quieta delle minoranze.

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