Cecco Angiolieri è uno scrittore e poeta toscano – per l’esattezza senese – contemporaneo di Dante, e per questo conosciuto soprattutto per quei caratteri che lo contraddistinguono dal poeta della Divina Commedia.
Cecco Angiolieri è infatti un poeta appartenente a quello che viene definito il filone comico-realistico (detto anche “poesia giocosa”) della poesia toscana delle origini, un movimento poetico che si contrappone a quello stilnovista di cui Dante è esponente.
Conosciamo questo vivacissimo e originale autore ripercorrendo le tappe della sua vita e della sua opera, soffermandoci poi in particolare su quello che è il suo componimento più noto.
Il periodo in cui Cecco Angiolieri compone di più è quello delle battaglie contro i ghibellini e quindi degli anni che precedono l’esilio da Siena.
Purtroppo è molto difficile seguire la produzione di Cecco. Molti componimenti sono andati perduti, altri gli sono stati attribuiti per errore negli anni Settanta dell’Ottocento da Alessandro D’Ancona, e fino agli anni Cinquanta del Novecento nessuno aveva ancora notato il problema.
Sono stati Mauro Marti e Maurizio Vitale a cercare di sistemare un’edizione dei componimenti di Cecco Angiolieri, definiti generalmente “Rime”, organizzando i componimenti in base alle esperienze della vita del poeta e al presunto succedersi cronologico delle opere.
I testi non sono datati e molti neppure sono firmati: ecco il motivo per cui è tanto difficile organizzarli.
Tralasciando questo problema di natura filologica, comunque fondamentale per comprendere l’evoluzione del pensiero di Cecco, passiamo a spiegare su cosa si concentra la poesia dell’Angiolieri e quali sono i suoi principali caratteri.
Il nome di Cecco Angiolieri, insieme a quello di Rustico Filippi, compare in ogni capitolo di storia della Letteratura Italiana insieme alla locuzione di poesia comico-realistica o comico-giocosa.
Sono infatti questi due poeti i massimi rappresentanti di questo filone che alla fine del Duecento si contrappone nettamente alla poesia e alla filosofia dello Stilnovo.
La poesia comico-realistica è un tipo di poesia che reagisce allo stile aulico e ricercato dello stilnovismo attraverso un linguaggio comune e quotidiano, spesso anche volgare e rozzo.
Cecco Angiolieri sviluppa un tipo di poetica che aderisce alla vita di tutti i giorni nei suoi aspetti più bassi e aspri.
Parla di donne, anche in modo erotico o in modo canzonatorio, attaccando in particolare le vecchie brutte e sfiorite senza preoccuparsi di utilizzare toni offensivi e crudi.
Parla del bere, della taverna e dei piaceri del vino e dei vizi di gola. Si concentra molto sul gioco d’azzardo e quindi sugli ambienti anche malavitosi del suo tempo.
Se ricordiamo le tematiche dello Stilnovo vediamo come tutto questo si opponga drasticamente a quel tipo di poesia, ritenuta da Cecco Angiolieri eccessivamente ricercata, filosofica e utopistica e sicuramente incapace di trasmettere le variopinte sfaccettatura della società toscana e della vita comune.
Il sonetto più famoso di Cecco Angiolieri (è stato ripreso anche in una canzone di Fabrizio De Andrè) è “S’i fossi foco,” un sonetto che prende il nome dal primo emistichio del primo verso, come accade per tutte quelle poesie a cui l’autore non ha dato un titolo.
Il filo conduttore del sonetto è il malessere e la rabbia del poeta verso il suo mondo contemporaneo, un mondo che l’io lirico del poeta vorrebbe distruggere.
C’è molto di più della rabbia in questi versi e l’analisi del sonetto ci farà comprendere anche la grandissima cultura di Cecco Angiolieri.
S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempesterei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio,
mandereil’ en profondo;
s’i’ fosse papa,
sare’ allor giocondo,
ché tutti cristïani imbrigherei;
s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei?
A tutti mozzarei lo capo
a tondo.
S’i’ fosse morte,
andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente farìa
da mi’ madre.
S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani
e leggiadre:
e vecchie e laide lasserei altrui.
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