Se non si interviene subito, fra vent’anni l’italiano potrebbe scomparire dalle scuole australiane. È un allarme che non nasce dal pessimismo, ma dai dati e dalle tendenze ormai evidenti in tutto il Paese e conosciute anche alla diplomazia italiana in Austrlia.
Negli anni del dopoguerra, l’italiano era la lingua comunitaria più studiata in Australia. Gli anni ’70 e ’80 furono un periodo d’oro: si insegnava in centinaia di scuole pubbliche e cattoliche, le scuole del sabato erano frequentate da migliaia di studenti, e programmi radiofonici e televisivi in lingua italiana tenevano viva la connessione con la madrepatria. Oggi, però, quel panorama è quasi irriconoscibile. Le iscrizioni ai corsi di italiano sono in calo costante, i docenti specializzati faticano a trovarsi e i fondi pubblici si orientano sempre più verso lingue considerate “strategiche” per motivi economici o geopolitici, come il cinese o l’arabo.
A rendere più grave la situazione è il cambiamento generazionale. Le nuove generazioni di italo-australiani, pur orgogliose delle proprie origini, spesso non percepiscono più la lingua come parte essenziale della loro identità. Per molti, l’italiano è diventato un ricordo d’infanzia, legato ai nonni o alle feste di famiglia, ma non una competenza da coltivare a scuola o nel lavoro.
Eppure, l’italiano resta una lingua mondiale della cultura, dell’arte, della musica e del pensiero. Parlare italiano significa accedere a un patrimonio di bellezza, storia e creatività senza pari. È anche una competenza utile in settori come la moda, il design, la gastronomia e il turismo — ambiti nei quali l’Italia è ancora un faro globale.
Nonostante gli sforzi di istituzioni come gli enti gestori, gli Istituti Italiani di Cultura, e i docenti appassionati che continuano a lottare nelle scuole, senza una strategia nazionale chiara il rischio di estinzione resta altissimo.
Difendere l’italiano in Australia significa difendere la diversità culturale del Paese. Ma serve un impegno concreto: borse di studio, incentivi per gli insegnanti, campagne di promozione e sostegno governativo. Senza tutto questo, tra vent’anni, potremmo ricordare l’italiano come una lingua che “si parlava un tempo”. E a quel punto, sarà troppo tardi.
