Quale sarà l’italiano di domani?

Una sfida ambiziosa. Così l’aveva definita Umberto Eco. Uno che di certe cose di certo s’intendeva. Si riferiva al tentativo di fornire una risposta alla domanda: quale sarà l’italiano di domani? Quesito che lui, al pari dell’universalità degli esperti, riteneva paradossale, in quanto “nei fatti di lingua si può prevedere solo ciò che è già avvenuto”.

D’altro canto, e qui ci sorregge ancora il pensiero di Umberto Eco – che ebbe ad affermare che “l’Italia è una Repubblica fondata sui puntini di sospensione” – nell’uso della lingua: nulla è innocente e tutto è politico. Storicamente, l’unico elemento costante di italianità, nel corso di più di un millennio, in assenza di una unità statale e di un patrimonio di valori che fosse più forte delle varie identità regionali, è stata la lingua.

Conoscere l’italiano non significa soltanto dotarsi di uno strumento di comunicazione in più”, ma anche “avere accesso alle molteplici dimensioni di un così grande retaggio storico e alle nostre più moderne e avanzate capacità creative”. (Giangi Cretti, Aise)

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