Australia, la Grande Barriera Corallina sta morendo

di Emanuele Esposito

Un grido silenzioso, sommerso, ma assordante. La Grande Barriera Corallina australiana, uno degli ecosistemi più iconici e fragili del pianeta, ha subito nel corso dell’ultimo anno la peggiore perdita di coralli vivi degli ultimi quattro decenni. A denunciarlo è l’ultima indagine dell’Australian Institute of Marine Science (AIMS), che lancia un allarme globale sulla rapidità e l’intensità con cui il cambiamento climatico sta deteriorando gli habitat marini.

Secondo i dati raccolti, nel solo arco di un anno la copertura di coralli vivi è crollata del 32% nella zona meridionale, del 25% a nord e del 14% nella regione centrale della barriera. Una perdita drammatica, che evidenzia un nuovo livello di vulnerabilità per questo sito dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1981.

Il colpevole? Il caldo record che ha investito il pianeta tra il 2023 e il 2024, segnando temperature oceaniche mai registrate prima. Secondo il Coral Reef Watch della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA)degli Stati Uniti, l’84% delle barriere coralline mondiali è stato colpito da stress termico negli ultimi mesi. 

Un dato spaventoso che segna l’inizio del più grande evento di sbiancamento di massa dei coralli mai documentato nella storia dell’umanità. Lo sbiancamento (o bleaching) è un processo che avviene quando i coralli, sotto stress – soprattutto per l’aumento delle temperature dell’acqua – espellono le alghe simbiotiche (zooxantelle) che vivono nei loro tessuti. 

Queste alghe non solo danno il colore ai coralli, ma forniscono fino al 90% dell’energia necessaria per la loro sopravvivenza. Senza di esse, i coralli impallidiscono e diventano estremamente vulnerabili a malattie e morte. La Grande Barriera Corallina non è soltanto un capolavoro della natura: è anche una colonna portante dell’economia australiana. Genera oltre 6 miliardi di dollari australiani all’anno in entrate turistiche e occupa più di 60.000 persone. La sua degradazione rappresenta, dunque, una minaccia anche sociale ed economica, con effetti a cascata su intere comunità locali.

Non si tratta di un evento isolato. Il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato, seguito da un 2024 ancora più incandescente. Il riscaldamento degli oceani – causato dall’aumento dei gas serra in atmosfera – è ormai un dato consolidato, che non solo favorisce lo sbiancamento, ma aggrava anche fenomeni come l’acidificazione dei mari e l’innalzamento del livello delle acque.

Secondo gli scienziati dell’AIMS, il ripetersi ravvicinato degli eventi di sbiancamento (cinque negli ultimi otto anni) sta riducendo il tempo necessario ai coralli per rigenerarsi. Alcune specie più sensibili non riescono più a riprendersi tra un’ondata di calore e l’altra, portando a un impoverimento della biodiversità. Non tutto è perduto. Gli scienziati sottolineano che, sebbene la situazione sia grave, la barriera mostra ancora capacità di resilienza. Tuttavia, questa resilienza ha bisogno di una cosa fondamentale: tempo. Tempo per rigenerarsi, tempo per adattarsi, tempo che può arrivare solo se si agisce subito.

Secondo la NOAA, ridurre drasticamente le emissioni globali di gas serra è l’unico modo per fermare l’emorragia. Al contempo, è urgente adottare misure locali di conservazione, combattere l’inquinamento, controllare le specie invasive e proteggere gli ecosistemi costieri.

Quello che sta accadendo alla Grande Barriera Corallina non è un problema “australiano”. È un segnale universale, un campanello d’allarme per l’intero pianeta. Se perdiamo le barriere coralline, perdiamo interi ecosistemi, perdiamo biodiversità, perdiamo cibo, lavoro, cultura. Ma, soprattutto, perdiamo un pezzo di noi. La domanda non è più “se” agire, ma “quanto” siamo disposti a fare — e a rinunciare — per salvare ciò che resta.