Renato Palumbo si autodefinisce “un onesto lavoratore dello spettacolo”. Arrivato in Australia per dirigere l’opera Turandot di Puccini nel prestigioso teatro Opera House, lo incontro da Alfredo “the opera night restaurant” decisamente il luogo adatto per incontrare un direttore d’orchestra. Tra i tavoli di Alfredo si sono fatti e disfatti governi, celebrati cantanti e attori, salutati prelati di Santa Romana Chiesa e avventurieri… inclusi cercatori di notizie per riempire i giornali locali.
E nell’atmosfera di penombra teatrale, tra i ritratti dei grandi compositori lirici alle pareti ed un piatto di costolette d’agnello al tavolo, scambio quattro chiacchiere con uno dei più importanti direttori d’orchestra al mondo. Italiano, naturalmente, come trovo naturale che sia un italiano a dirigere il capolavoro di Puccini a Sydney.
Chi sei?
Nasco nel 1963 a Montebelluna, in provincia di Treviso e fin da piccolo… ci sono ancora dei filmini che girano per casa per mostrare che facevo finta di dirigere l’orchestra già da quando avevo solo 4 anni. La mia passione per la musica è sbocciata verso i 5-6 anni e successivamente avrei chiesto ai miei genitori di poter studiare.
Nonostante i miei genitori non fossero musicisti, in me la musica si rivelò come una cosa innata. Ricordo che ero piccolo quando, in televisione, trasmisero Rigoletto, uno di quelli ancora in bianco e nero con tutti quei cantanti grassi che giravano per la scena e … ricordo che fui affascinato dalla rappresentazione. Questo, forse, c’entra poco o niente con ciò che avrei fatto in futuro e non è quello che mi ha segnato la vita ma, sicuramente, ha lasciato il segno per il fatto che ho cominciato a studiare musica seriamente.
Lo studio della musica era qualcosa che mi riusciva meglio, certamente meglio di tutte le altre materie scolastiche e, proseguendo gli studi, ho scelto l’indirizzo musicale e ripensandoci adesso, dopo più di 50 anni, sembrerebbe che tutto sia capitato quasi per caso mentre… tutto è capitato perché aveva un suo senso.
Molte cose succedono perché c’è una predisposizione, ma ci sono tanti sacrifici da fare; però i sacrifici sono una cosa, poter riuscire è un’altra. Come in tutti i campi, anche nel nostro campo, il fattore della fortuna è molto importante; cioè arrivare al momento giusto, trovare delle persone che ti danno fiducia, perché un direttore d’orchestra deve trovare un impresario, un teatro che lo chiama e gli dà in mano una produzione dove hai 80 coristi e 70 orchestrali da gestire.
Direttore
Per il ruolo del direttore d’orchestra ci sono dei percorsi educativi da conservatorio ma ci sono anche dei percorsi alternativi… io li ho percorsi ambedue: quelli alternativi in cui da piccolo si comincia con l’interesse, ed io parlo del mio campo specifico che è la musica lirica, interesse verso i cantanti, interesse per il pianoforte con cui si comincia ad accompagnarsi, poi cominciano le chiamate nei teatri a lavorare come pianista, oppure come suggeritore, oppure come maestro del coro e poi magari si trova qualcuno che vede nel soggetto qualcosa che ispira fiducia e chiede: “Perché non provi a dirigere?”.
Magari è un’idea che si aveva già e che anche si aveva sperimentato, però si deve trovare sempre qualcuno che ne dia l’occasione e che il soggetto deve saper cogliere quando capita.
Non è una cosa così scontata ed io confesso una cosa che non dico spesso, ma tu mi sei simpatico, quindi… Devi ricordare che il direttore d’orchestra è, in assoluto, una delle persone più complessate che esistano al mondo a causa della poca stima personale. Quindi io dovevo dimostrare che ciò non è vero e ho fatto il direttore d’orchestra. La funzione del direttore d’orchestra è un po’ l’archetipo della persona che detiene il comando, che gestisce il potere e quindi quando si è in postazione, si deve dimostrare che vali qualcosa nel ruolo interpretativo di andamento, tempo, dinamiche.
Quindi le persone che si accingono a fare questo lavoro, spesso sono persone insicure che, tramite il lavoro direttivo, possono far vedere di non esserlo.
La musica
La musica è scritta e il direttore d’orchestra deve interpretarla pertanto egli non può limitarsi a leggere le note così come sono sul pentagramma perché sarebbe come un ripetere.
La musica è, prima di tutto, un’emozione e deve dare emozione, essa non può essere considerata un fine ma è un mezzo, quindi la preparazione musicale del direttore deve essere quella di saper studiare, leggere, eseguire e trasmettere quello che, secondo lui e con molta umiltà possibile, l’autore voleva comunicare nella sua opera.
Davanti ad uno spartito, sappiamo tutti che l’autore ha scritto delle note e, per il direttore d’orchestra, leggere quelle note non è cosa complicata purché, da quelle note, egli sappia trarre messaggi umani importanti, emozioni importanti per raccontare storie sempre intrise di valori importanti, di gelosia, di potere, d’invidia, d’amore… sono quelle poche cose che, da quando è nato il mondo, lo fanno andare avanti e quindi la musica lirica racconta come vive e sopravvive l’umanità nella storia.
È compito e capacità del direttore cercare di sublimare il fattore tecnico e salire ad un gradino superiore per poter raccontare qualcosa di noto ma con qualche emozione in più.
Emozioni
Trovarsi a dirige davanti a persone, con movimenti delle braccia e delle mani giusti o sbagliati che siano, non solo produce un effetto musicale ma genera, anche al dirigente, una grande emozione. Dell’inizio della mia carriera ricordo qualcosa di euforico, difficilmente spiegabile… come un senso, tra parentesi, quasi di onnipotenza!
“Guarda cosa riesco a fare con il pensiero, e con le mani, e con il mio carisma, e con il mio temperamento”.
Andando avanti con gli anni il delirio è una cosa che cala molto perché, come ho detto prima, si verifica che l’approccio alla musica deve essere sempre di studio e di grande umiltà. È il momento in cui la maturità professionale spinge a studiare molto di più, a non voler sorprendere nessuno, a non voler dimostrare agli altri quanto si è bravi perché il problema personale già è stato risolto e adesso è il momento di pensare a donare agli altri, qualcosa di diverso che non sia un’autocelebrazione ma semplicemente musica. Pertanto, non penso molto a quello che il compositore voleva dire perché la composizione può essere interpretata in tanti modi. Piuttosto attenziono il messaggio che l’autore vuole dare con la sua musica. Per attuare questo messaggio, possono adoperarsi tanti sistemi e sta al direttore scegliere sulla base dei suoi studi. Si comincia con le prove in teatro che sono abbastanza complesse: con i cantanti e con tutto il coro si definisce com’è scritta la musica, se ne giudica l’esecuzione giusta o sbagliata, come va interpretato il testo.
Seguono le prove di scena, poi si passa alle prove d’orchestra, con le prove insieme coro-orchestra-cantanti, quindi è come un pasticcere che parte dall’uovo e, in crescendo, arriva fino ad una millefoglie.
Umiltà
Senza l’intenzione di fare il finto modesto, secondo me, una cosa importante è non volere mettersi sopra ad un’opera d’arte perché… tu non puoi metterti sopra a Leonardo quando parli della Gioconda al Louvre, non puoi metterti sopra a Caravaggio quando parli de “i bari” e stessa cosa per quei quadri di Picasso o dei tanti mostri sacri che abbiamo avuto. Noi però parliamo di un argomento che nel momento che io eseguo è già passato, ma lascio qualcosa di tangibile, qualcosa di visibilmente tangibile perché va nella memoria uditiva.
Quindi io, per partito preso, inizio senza un’idea preconcetta, quello che m’interessa è che, quando comincio a provare, l’idea mia esca creando un feeling con gli artisti che ho davanti, con il cuore e con l’orchestra che ho davanti ed essi devono entrare in sintonia con me.
Dittatore o democratico?
La musica è un collante tra dittatoriale e democratico che non si può imporre a nessuno; ad esempio, può accadere che mi trovi davanti un artista, anche importante, che la vede leggermente diversa da me. Come supero questa fase? Discutendo.
Può accadere che io dica all’artista di turno: “Guarda che come tu la fai è bellissima, mi piace molto, però io penso che l’artista che l’ha scritta volesse dire quest’altra cosa…”. Dopo 10, 20 secondi di riflessione mi risponde: “Sai che puoi avere ragione… dai, sì, facciamo come dici tu.
Ciò per affermare che “imporre” è la cosa più sbagliata che ci sia. L’imporre tarpa le ali di ogni meccanismo creativo, quindi non va fatta alcuna imposizione. Lo fanno solo gli inesperti e quelli con poca autostima; invece, quando un direttore d’orchestra è sicuro di sé, per lui non ha alcun senso l’approvazione degli altri.
Proprio nella musica lirica è compito del direttore creare un’atmosfera di complicità che vive di sguardi, di pensieri fino a quando anche coloro che dietro al palcoscenico stanno preparando l’attrezzeria che porteranno in scena, ad un certo punto sono interessati da ciò che il direttore sta facendo. Quando si arriva a quei livelli è una specie di catarsi e, secondo me, è la parte più bella del mio lavoro perché sento di essere riuscito a catalizzare intorno ad una “idea” mia e non mia, l’interesse generale.
In quel momento tutto quello che è intorno a me cambia colore, cambia fisionomia, cambia gusto, cambia immagine e diventa qualcosa di sublime che dura pochissimi minuti 7-8 volte all’anno, dopodiché si torna alla routine normale.
La carriera
Ho cominciato a dirigere all’età di 14, 15 anni ma facevo come il vigile dirige il traffico, cioè con tanto istinto, con tanta voglia di far vedere agli altri, ma non avevo ancora la preparazione tecnica. Tutto è accaduto dopo aver prestato servizio militare.
Se prima del militare avevo lavorato a Bari come maestro del coro, al mio ritorno alla vita civile mi son trovato fuori dal giro e allora ho deciso di mettermi a studiare seriamente e, in pochi anni, ho preso tutti i diplomi possibili, anche di direzione d’orchestra; ho conosciuto un grande maestro quale Gabriele Bellini che mi ha insegnato le basi e la tecnica. Successivamente, mi hanno chiamato a lavorare in altri posti come a Istanbul dove mi hanno tenuto per 6 anni come direttore generale. Da Istanbul sono andato a Bonn e Colonia. Sono rimasto in Germania per altri 4-5 anni. E, da allora, non mi sono più fermato sia in Italia che in tutto il mondo.
Però… il tempo passa e ci sono momenti che, con l’età, pesano. Diventano periodi di grandissimo sacrificio quelli che vivo lontano da mia moglie dopo che abbiamo avuto i figli e la vita diventa un intreccio di momenti di grande solitudine familiare e momenti di grande gioia professionale.
Alla fine mi consolo dicendo a me stesso che, come tutti i lavori, anche quello di direttore d’orchestra, se voglio continuarlo, devo trattarlo come un vero lavoro. Se penso che sia un’arte, sono rovinato.
In teoria devo essere una persona che viene chiamata, è retribuita, ha la fortuna di lavorare in posti anche molto belli e qualitativamente elevati e persona alla quale è stata accreditata molta importanza. Da me non pretendono il genio ma grande professionalità. C’era un filosofo che ha detto che la gente normale adora i geni ma potrebbero sopportarli solo per pochi secondi. Quello che invece fa vivere bene è la bella normalità, una normalità fatta bene. Per me deve valere la garanzia di estrema professionalità e questa è la cosa più importante.
Largo ai giovani
Storicamente parlando, secondo me abbiamo avuto un periodo tra le due guerre, e anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, in cui si è data molta importanza sia alla musica che alla figura della persona anziana e saggia.
Stamattina, leggendo un libro su Cavour, ho appreso che egli è diventato ministro a 31 anni.
Al giorno d’oggi sarebbe impensabile! Abbiamo avuto la gioventù anche nel ‘700 e nell’’800; gioventù molto premiata, senza togliere potere alle persone anziane, alle quali rimaneva l’arduo compito di controllare, dare giudizi, tramandare saggezza ai giovani.
Oggi le cose vanno diversamente, e seppure tanti giovani tentano di mettersi in gioco, non sempre trovano le porte aperte… Magari a vent’anni si è troppo giovane per la lirica, ma verso i 30, 32 anni… Negli anni ‘70 un direttore cominciava a dirigere all’età di 50 anni, dopo aver fatto 30 anni di gavetta; io sono stato uno dei pochi fortunati a cominciare giovane, ma mi rendo conto che le cose più belle le sto facendo adesso, ad una certa età… Adesso ho la sicurezza e la padronanza necessarie, ma soprattutto l’amore di trasmettere quello che io ho dentro, senza voler niente in cambio, qualcosa che mi mette in una posizione di benessere intellettuale che mi fa stare bene.
Ritornando al discorso della gioventù oggi sembra che la vita non debba finire mai. Dai nostri vocabolari abbiamo eliminato la parola morte; non muore nessuno, se un uomo sta molto male, si dice che è in pericolo di vita… che strano!
Pensiamo di vivere all’infinito? L’età media sta crescendo sempre più, però vogliamo bruciare tutte le tappe subito come se, a 30 anni, un uomo sia così vecchio da non avere più niente da dire.
Secondo me, uno dei lavori come quello di direttore d’orchestra implica molto il fisico specialmente quando s’inizia e poi, man mano, viene compensato dall’esperienza con l’attività cerebrale. Insomma si perde l’aspetto atletico, che viene minimizzato, e si evincono aspetti intellettuali e metafisici a garanzia di una carriera che può durare benissimo fino a tarda età, dirigendo fino alla morte.
Crescendo
Con le idee chiare e prive di mistificazioni, la vita può essere un crescendo che permette di andare avanti, diminuiscono le quantità e aumenta la qualità. Fisicamente parlando, quello che ho fatto quando avevo 30, 40 anni oggi non potrei più farlo ma, senza rammarico, sopperisco con il pensiero. Può sembrare strano che un direttore d’orchestra lavori molto con la trasmissione del pensiero, ma la realtà è che dalle mie mani esce un suono e da quelle di un altro direttore esce un suono diverso pur con la stessa orchestra. Ciò vuol dire che la cosa non dipende solo dalle mani, ma anche dal pensiero soggettivo. La musica che io riesco a trasmettere agli altri è la cosa più importante, sintesi di un lungo cammino, di studio e di esperienza che solo la musica, per fortuna, mi permette.
Ad ogni giovane interessato, mi sento di dire: “Se ti si senti pronto, devi cominciare subito e non perché qualcuno dice che sei pronto; devi essere tu sicuro della tua preparazione dal punto di vista mentale, della saggezza, della tenacia, necessari a salire sul podio per trasmettere quello che sai a 200 persone senza fare pesare la tua presenza che deve effondere soltanto amore. Naturalmente, ciò che sto dicendo adesso, caro giovane aspirante maestro d’orchestra DOC, è solo un sunto di saggezza anagrafica perché…
Se penso a com’ero 30 anni fa, mi prenderei a sberle dalla mattina alla sera e faccio fatica ad accettare la mia immagine. Dico con rammarico di aver buttato via delle occasioni molto belle in cui avrei potuto dare gioia e felicità agli altri e invece io… pensavo egoisticamente, pensavo solo alla mia mente.
Andando avanti con gli anni tutto ciò, come ho detto prima, cambia totalmente con l’esperienza.
Potenza del canto
Quando si parla di Opera si parla di canto a cominciare da quello che nasce nella Preistoria quasi come un bisogno sfinterico per sollevare i sassi da terra. Quindi si parla delle corde false, quelle che avevano solo il compito di chiudere la laringe per dare più forza, proprio come quando vediamo i tennisti che danno il colpo forte facendo un grido: sono spinte sfinteriche di chiusura. Successivamente, per poter comunicare con gli altri, abbiamo fatto le corde vere capaci di far muovere le cose piccole con un filo d’aria (che non puoi adoperare se non adoperi il metodo sfinterico) e quelle sono nate per poter dare emozioni e comunicare, soprattutto, amore.
Ciò al fine di adoperare tutta l’esperienza che abbiamo per cercare di rendere la persona che sta davanti a te più felice e, di conseguenza, anche chi ti ascolta deve essere più felice.
L’Opera nel mondo
L’esistenza dell’Opera nei diversi paesi del mondo è cosa importante. La Cina ha fatto teatri d’opera dappertutto e tantissime opere cinesi sono state scritte con lo stile italiano.
Nei paesi anglosassoni, quando qualcuno vuole prendere in giro un italiano comincia a gesticolare e ad urlare perché noi abbiamo il vizio di parlare ad alta voce, come sia un gesto liberatorio; ai giapponesi piace e studiano la lirica perché grazie al canto riescono anche ad urlare, buttando fuori quello che è depresso da sempre.
In Australia, ad esempio, se in orchestra sbagliano e faccio un urlo non vengo capito. L’australiano anglosassone non può accettare uno che grida, perché percepisce l’urlo come una cosa che dà fastidio. Ti dicono subito: keep quiet! Parla, spiegati, ma non alzare la voce.
Noi Italiani invece, grazie alle opere liriche, diamo a tutti la possibilità di alzare la voce e liberarsi nel giusto modo.
Noi conosciamo certamente le parole che diciamo, ma la maggior parte di chi viene all’opera, legge i sottotitoli e tante volte neanche li legge. Eppure il suono della lingua italiana è musica, il messaggio parla, il messaggio passa, è un linguaggio transnazionale compreso da tutti.
Dalla nostra storia, anche religiosamente parlando, l’arte è sinonimo di bellezza. E questa non è una cosa scontata perché se si va nei paesi calvinisti tipo in Germania e Svizzera, paesi del nord per gli italiani, il termine arte è sinonimo di bello come di brutto. Per la concezione filosofica che noi abbiamo sul termine arte è difficile che una cosa brutta sia artistica quindi anche i suddetti popoli tedeschi sanno che dall’Italia, dalla storia italiana, dalla cultura italiana possono ricevere solo un messaggio di bellezza di cui oggi il mondo ha bisogno. Una bellezza intrisa di armonia, di rassicurazione che si paga con un biglietto costoso per andare in teatro ed essere avvolti dalla musica che, pur incomprensibile, avvolge con effetto di gioia.
Seppure dal punto di vista economico un biglietto per l’Opera sembra estremamente costoso, tuttavia vale la pena ricordare che i bisogni di un cast che arriva sono tanti: c’è bisogno di un’intera orchestra, di coro, una vera squadra stabile e numerosa di persone che vengono pagate tutti i giorni dell’anno e che, alla fine dell’anno, al massimo hanno fatto 60-70 serate, mentre per tutto il resto sono state giornate di prove.
Quindi, il tutto è una cosa impegnativa e per mantenere un livello alto pesa e costa; oggi il momento di crisi fa sorgere spontanea la domanda: in un momento in cui ci si può divertire con l’abbonamento a Sky su cui si possono vedere film a piacimento, perché uscire e spendere $300 per un biglietto all’Opera?
Apprezzare l’Opera
Colui che è entrato nella mentalità operistica è una persona fortunata, o perché i genitori l’hanno aiutato, o perché la musica è già entrata nella sua vita, o perché ha capito che il teatro, a volte, può diventare più salutare di una chiesa dal punto di vista d’arricchimento emozionale…
Sì, sono tanti, vanno e spendono. Entrano e ascoltano rapiti.
Chi è stato all’Opera torna a casa sempre felice.
L’Opera House, in Australia, ha avuto la fortuna di avere una squadra d’opera di altissima qualità, grazie soprattutto al nostro italiano Lyndon Terracini che ha rivoluzionato e cambiato tutto.
Quindi la cosa fondamentale è che le persone frequentano l’Opera perché sanno di poter godere un prodotto di qualità, come quando si va in un ristorante e si sa in partenza che si mangerà bene, altrimenti non si va. Quindi l’Opera, sicuramente, avrà un futuro per questi motivi.
Ti racconto un aneddoto meraviglioso: ero a Buenos Aires che facevo Norma. Buenos Aires è una città, culturalmente parlando, con tutti i problemi che può avere l’America del Sud: crisi economica, stipendio che basta per i primi 10 giorni mensili, quattro lavori per vivere… però è una città con le librerie aperte tutta la notte, teatri aperti tutto il giorno.
Lì c’è il teatro Colón, uno dei teatri d’opera più importanti al mondo. Non è una costruzione così storica come può essere La Fenice di Venezia o il San Carlo di Napoli e ricordo che allora, una domenica, sono andato in cattedrale dedicata alla Santissima Trinità e, con il mio spagnolo rudimentale, più veneto che spagnolo, vado a confessarmi. Comincio, continuo, ad un certo punto il prete mi dice: Ma perché ti trovi qui? – Perché lavoro in teatro – quale teatro? – Lavoro al Colón – e cosa fai qui? – Dirigo Norma – Ah beh allora adesso mi devi raccontare di come sarà questa Norma! E lì è finita la confessione. L’assoluzione me l’avrebbe data Dio perché il prete era più interessato a come avrei diretto Norma che non ad ascoltare la mia confessione… Ciò solo per dire quanto l’opera è sentita nel mondo e quanto, invece, da noi in Italia sia diventata uno spettacolo di nicchia o per privilegiati facendo fatica ad uscire da tale mentalità. Questo purtroppo è un problema italiano che speriamo si possa risolvere.
Destinazione Australia
Dal 2012, vengo in Australia un paio di volte all’anno. L’Australia è un paese molto ospitale, un paese dove è facile lavorare soprattutto per il livello altissimo della qualità delle scuole di musica e c’è un grandissimo rispetto verso la musica, una grandissima voglia di fare e un aspetto organizzativo molto curato.
Quindi, quando qualcuno arriva qui è veramente… non dico coccolato perché non è il termine giusto, però devo dire che si sente rispettato.
Non esiste mai una volta che viene messo in dubbio qualcosa solo perché viene dall’estero, anzi per gli australiani che tu venga dall’estero è una garanzia di qualità e se si accorgono che non è così te lo dicono subito.
Oggi la gente non è stupida, oggi la gente su internet può vedere quello che fai e quindi, quando uno gira il mondo da 40 anni, quando uno come me viene qui, certamente non viene a prendere in giro la gente.
Quest’anno eseguirò Turandot. Tornerò il mese di marzo per fare Maria Stuarda in forma di concerto; era un progetto da realizzarsi in forma scenica che però, colpa del covid 19, non si può fare in quel modo e poi tornerò per la stagione invernale.
Mi viene strano dire invernale perché chiamare luglio-agosto invernale è strano per chi, come me, vive dall’altra parte del mondo dove la gente sta sulle spiagge assolate.
Tornerò, ripeto, per dirigere La Traviata di Giuseppe Verdi che ho fatta già 3-4 volte e ci sono molti altri progetti per il futuro. Però… Altra cosa che ho imparato con la vecchiaia è di non pensare al futuro ma di vivere il presente.
Ecco, questo è tutto – conclude il maestro Renato Palumbo – io mi farei volentieri una sambuca e tu? Un cognac.
Grazie Alfredo per l’ospitalità.
Be the first to comment