Nel cuore del Duomo di Torino, protetta da un’urna di cristallo e circondata da secoli di venerazione e polemiche, riposa la Sindone: un lenzuolo di lino lungo più di quattro metri, sul quale appare l’immagine sbiadita di un uomo crocifisso. Per i fedeli è il telo che ha avvolto il corpo di Gesù dopo la crocifissione; per molti studiosi è un’opera d’arte medievale, forse la più sofisticata e ambigua mai realizzata. Oggi, un nuovo studio riapre il dibattito: la Sindone, secondo simulazioni tridimensionali, non avrebbe mai avvolto un corpo umano, ma una scultura.
Lo studio, pubblicato ad agosto 2025 sulla rivista scientifica Archaeometry, è firmato da Cicero Moraes, un esperto brasiliano di modellazione 3D noto per le sue ricostruzioni digitali di volti storici. Utilizzando software avanzati, Moraes ha ricreato virtualmente due scenari: uno in cui il lenzuolo viene adagiato su un corpo umano tridimensionale, e un altro in cui si posa su un bassorilievo. Solo il secondo esperimento ha restituito un’immagine coerente con quella impressa sulla Sindone. La conclusione è netta: l’immagine non può derivare dal contatto diretto con un corpo umano, ma piuttosto da una matrice artistica piatta, forse realizzata in legno, metallo o pietra.
La tesi, per quanto presentata con strumenti tecnologicamente nuovi, non è inedita. Lo storico torinese Andrea Nicolotti, docente all’Università di Torino e autore di numerosi studi sulla Sindone, ha commentato con tono pacato ma fermo: «Queste conclusioni erano già note da secoli. La scienza non fa che confermare ciò che gli storici ripetono da tempo». In effetti, la datazione al radiocarbonio effettuata nel 1988 da tre laboratori internazionali – Oxford, Zurigo e Tucson – collocava la creazione del lenzuolo tra il 1260 e il 1390, ben lontano dall’epoca evangelica.
Eppure, nonostante gli studi, le analisi chimiche, le fotografie ad alta definizione e le ricostruzioni digitali, il mistero resiste. La Sindone non smette di attrarre pellegrini, curiosi, scettici, credenti e scienziati. Perché?
Il dibattito intorno alla Sindone si muove su due piani, paralleli ma raramente convergenti: quello della fede e quello della scienza. Per molti cristiani, in particolare cattolici, il lenzuolo rappresenta una reliquia sacra, una testimonianza concreta della passione di Cristo. Non è importante come l’immagine si sia formata, ma cosa rappresenti: il dolore, la morte e la speranza della resurrezione. Per altri, invece, la Sindone è un capolavoro d’ingegno umano, un esempio di arte religiosa concepita per commuovere e persuadere, forse legata al fervore devozionale medievale.
Se si abbandonano per un attimo le certezze di entrambi gli schieramenti, si apre un terzo orizzonte: quello della cultura. Che la Sindone sia un’opera del I secolo o del XIII, resta un oggetto di straordinaria potenza simbolica. La sua immagine non è dipinta, né scolpita: è una traccia, un’ombra, una presenza evanescente. Ha ispirato artisti, mistici, scrittori e registi. Ha attraversato guerre, incendi, critiche e indagini. È sopravvissuta al tempo come poche altre testimonianze materiali della storia umana.
L’interpretazione artistica, suggerita oggi dalle simulazioni di Moraes, ci invita a considerare la Sindone come un prodotto dell’immaginario. Un oggetto creato, forse, per incarnare l’assenza. Nessun’altra immagine cristiana è così potente proprio perché è così vaga: non mostra, ma suggerisce. Non racconta, ma evoca. La figura dell’uomo della Sindone, con gli occhi chiusi, le mani incrociate, i segni della flagellazione, è allo stesso tempo universale e personale. Non è solo Gesù: è ogni uomo ferito, ogni corpo che ha conosciuto il dolore.
Nel tempo, la Sindone è diventata anche una cartina di tornasole del rapporto tra scienza e religione. Gli studi, che si susseguono da decenni, spesso vengono accolti con scetticismo da una parte e con fastidio dall’altra. I credenti accusano gli scienziati di voler desacralizzare ciò che è sacro; gli scienziati accusano i credenti di chiudere gli occhi di fronte alle evidenze. Eppure, proprio questo confronto, a volte aspro, ha reso la Sindone un oggetto vivo, al centro di un dialogo tra passato e presente, tra dogma e metodo, tra verità e rappresentazione.
Forse la domanda più interessante non è se la Sindone sia autentica, ma perché ci interroghiamo ancora su di essa. La risposta risiede nel bisogno umano di dare forma al sacro. In un mondo dove la scienza spiega quasi tutto, la Sindone ci ricorda che ci sono ancora immagini che non vogliamo, o non possiamo, spiegare del tutto. Che alcuni simboli resistono alle misurazioni e alle datazioni perché parlano a un livello più profondo: quello del mito, della fede, della cultura.
Alla fine, la Sindone è uno specchio. Riflette ciò che cerchiamo: prove, conforto, verità, emozione. E forse proprio per questo continuerà a interrogare le menti e i cuori per i secoli a venire.
