Arroccato tra le verdissime e rigogliose vette dei monti Nebrodi si erge, in provincia di Enna, un piccolo ma grazioso paesino, scrigno di storia, di tradizioni, di culti, dove la natura è ancora una perla di grande fascino.
È l’amena cittadina di Cerami (nome un tempo appartenuto alla greca “Keramòs”), dominata dall’imponente inespugnabile castello roccioso, apparso glorioso nella memorabile battaglia (detta appunto di Cerami) combattuta nel 1063 e vinta dai Normanni contro i Saraceni.
Ultimamente, in concomitanza di sensazionali ritrovamenti, la ridente cittadina, con la sua aura tratteggiata di remote testimonianze, ha richiamato e stimolato l’interesse di ricercatori, di studiosi, di archeologi, geologi, di astronomi di gran fama.
Secondo quanto scoperto si è fatta sempre più strada l’intuizione che nel lembo di terra ceramese, mai esplorato, vi sarebbe scritto un passato di antichità molto molto lontano di inestimabile valore preistorico, ancora da indagare, da contestualizzare e precisare compiutamente al fine di svelare gli arcani misteri riguardanti non solo la storia locale, ma anche e soprattutto dell’archeologia sicula.
Fortuna è stata l’intrigante scoperta emersa nel 2019, quando Ferdinando Maurici, prof. di Archeologia Cristina e Medievale, insieme ad un gruppo di ricercatori, hanno potuto scientificamente appurare e verificare di quanto di astronomico fosse comunemente noto presso gli antichi abitatori di Cerami: i fori ricavati, fin dall’antichità più remota, nella roccia dell’antico castello sono astronomicamente orientati, manifestanti l’avvicendarsi delle albe e dei tramonti equinoziali e solstiziali.
Ancora più eclatante e sorprendente la successiva scoperta, legata alla intuizione e segnalazione di due giovani “pionieri”, i fratelli Luca e Sebastiano Stivala, che, come Indiana Jones, avventurandosi in un fondo rurale incolto, abbandonato da chissà quanto tempo, fitto di arbusti e rovi, pressoché inaccessibile, si stupivano nel notare dei blocchi di pietra sparsi conficcati verticalmente sul suolo.
Sin dal primo approccio, rinomati studiosi, messi a conoscenza del fatto, hanno da subito ammesso trattarsi di un ritrovamento “inedito, che non trova confronti in Sicilia”.
Col proseguo delle esplorazioni, è apparso reggere sempre più degnamente che il numero (22 per l’esattezza), la posizione e la spaziatura delle “pietre fitte” rinvenute ai piedi del monte Mersi, poco distante dall’abitato di Cerami, sono tutt’altro che casuali.
Un gruppo di esperti, nel mappare e descrivere le steli venute alla luce, ognuna di varie dimensioni e altezze, disposte a semicerchio su due file, alcune conficcate verticalmente sul terreno, altre giacenti al suolo in prossimità di rispettive fosse, hanno verosimilmente ritenuto trattarsi di un complesso di monoliti-Menhir (dal bretone men “pietra” e hir “lungo”) in pietra grezza allungata di varia forme, ora conica, ora cilindrica, erette, da immemore tempo, come obelischi nella valle del ritrovamento denominata “Sotto Mersi”.
Nonostante permangano molti vuoti di conoscenza, vi sono elementi e ragioni sufficienti per ipotizzare l’esistenza di un sito megalitico, unico in Sicilia, miracolosamente conservatosi per ampiezza, dimensione e concentrazione, giunto a noi da un passato ancora imprecisato ma molto remoto (possibilmente tra l’età del rame ed età del bronzo), i cui aspetti porterebbero a rivisitare ad aggiornare la preistoria siciliana.
Solo una politica che apra la strada della ricerca applicata, che scavi con profondità sul sito, su una singola roccia, nei dintorni, potrà darci precise risposte e visioni d’ordine archeologico, geologico e antropologico.
I monoliti che connotano il campo dei menhir di Cerami hanno una spiccata e ormai dimostrata funzione astronomica calendariale, con assi longitudinali perfettamente allineati in corrispondenza dei punti in cui sorge e tramonta il sole, rispettivamente nei particolari giorni (solstizi ed equinozi) di sincronizzazione del mutamento stagionale (azimut 90°-270° albe e tramonti equinoziali; 120°-300° albe e tramonti solstiziali).
È molto probabile che questi diversi momenti abbiano costituito i termini entro i quali si svolgevano le attività fondamentali delle popolazioni preistoriche, con la scansione dei tempi nei lavori agricoli, nella crescita dei raccolti, nella celebrazione di feste e rituali.
Ma le sorprese non finiscono qui. In questo quadro, ancora molto complesso, si colloca l’arcano mistero delle centinaia di anelli scavati artificialmente nelle rocce dei dintorni, come anche l’enigma dei frammenti di ceramica reperiti sull’acrocoro del monte Mersi, con la presenza bucherellata di tombe sepolcrali a pozzo e grotticelle, che fanno indubitata fede della cultura del popolo che vi dimorò.
Per fare luce su questo complesso megalitico unico in Sicilia se n’è parlato nel dicembre appena scorso in uno straordinario convegno, affollato di stimati esperti in materia, e ospitato presso il Museo archeologico “A. Salinas” di Palermo con il titolo scelto: “I Menhir di Cerami nel contesto del megalitismo siciliano”.
Sotto l’egida della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Enna, della Segreteria nazionale dei Gruppi Archeologici d’Italia, dell’associazione “Acers”, con lo sponsor della Regione Siciliana e del Comune di Cerami, si sono propagati gli interventi dei chiarissimi relatori: Ferdinando Maurici (Soprintendenza del Mare, prof. in archeologia Cristina e Medievale), Alberto Scuderi (vicedirettore nazionale dei Gruppi Archeologici d’Italia), Andrea Polcaro (ricercatore, archeologo dell’Università di Perugia), Alfio Bonanno (Istituto Nazionale di Astrofisica), Nicola Bruno (Soprintendenza del Mare, preistorico e archeologo subacqueo), Barbara Trovato, (geologa). E poi ancora, Rosalba Panvini (Università di Catania), Fabrizio Nicoletti (Soprintendenza BB.CC. Catania), Massimo Cultraro (C.N.R.), Orazio Palio (Disfor/Università di Catania), Maria Turco (Soprintendenza di Catania), Maria Grazia Melis (Università di Sassari), Paola Basoli (già direttore Soprintendenza Archeologica per le Province di Sassari e Nuoro).
A questo punto, dopo i filmati, i parallelismi con i menhir della Sardegna, i dettagli fotografici sulla Valle dei menhir scoperti a Cerami, si è colto l’intendimento dell’Assessore regionale ai Beni Culturali, Alberto Samonà, il quale ha credibilmente ipotizzato “che si possa trattare di un’area sacra di epoca preistorica che, anche in relazione ad altri ritrovamenti nella Sicilia orientale, amplierebbe di molto le conoscenze storiche archeologiche sul megalitismo mediterraneo”.
In tal senso occorre evitare che la scoperta, unica e di inestimabile valore storico, archeologico culturale, avvenuta a Cerami, si risolva in una visione soltanto accademica.
Sembrerebbe dunque ormai vicino il bisogno di una campagna di scavi, di indagini approfondite, di operazioni scientifiche per svelarne i misteri, precisare le caratteristiche, le funzioni, le datazioni dei monoliti ritrovati.
Il che potrebbero dare un contributo non indifferente in termini di promozione, di attrattiva al paese di Cerami che nell’alternarsi dei secoli ha già di per sé mostrato testimonianze storico-culturali particolarmente importanti, i segni di una civiltà iniziata all’epoca dei Siculi, dei Sicani, a cui subentrarono Greci, Arabi, Normanni. (Carmelo Loibiso)
Be the first to comment