Tema sull’aborto: pro e contro fra etica e legge

Aborto deriva dal latino e significa letteralmente “venire al mondo prima del giusto tempo”. Espressioni come interruzione di gravidanza o della maternità vengono utilizzate come sinonimi di aborto. Erroneamente viene utilizzata anche l’espressione “infanticidio”, che nella lingua italiana designa invece l’uccisione volontaria di un bambino già nato.

L’aborto può avvenire per cause naturali o per volontà umana. L’aborto spontaneo avviene generalmente entro la 22a settimana di gestazione. L’aborto volontario avviene invece mediante intervento chirurgico, entro 90 giorni di gravidanza, oppure mediante l’assunzione della pillola del giorno dopo, che deve essere assunta entro 72 ore dal concepimento. 

Altra questione riguarda il tema “quando inizia la vita di una persona?”. A riguardo si sono definiti tre atteggiamenti differenti:

1. Impostazione convenzionalista: un essere umano già nato può essere definito persona, mentre l’embrione è inteso come prodotto del concepimento, una parte biologica della madre;

2. Impostazione essenzialista: si parla di persona al momento del concepimento, e così come la morte clinica viene determinata dall’encefalogramma piatto, così la nascita si stabilisce con l’inizio dell’attività cerebrale;

3. Impostazione fenomenista: la persona è un soggetto unico e irripetibile, per cui l’embrione non è persona fino ai dieci giorni, ovvero quando lo zigote può dividersi dando origine a due o più embrioni.

Intervistando un gruppo di giovani dai 18 ai 30 anni sono emerse diverse opinioni interessanti.

Barbara, 21 anni, dice di essere stata educata secondo presupposti cattolici che influenzano la sua posizione rispetto alla questione “aborto”. Lei è assolutamente contraria all’aborto, poiché ritiene che, fin dal concepimento, il feto sia una persona a tutti gli effetti e, come tale, abbia diritto di vivere. Ovviamente bisognerebbe trovarsi in una situazione del genere – continua Barbara – ma è fermamente convinta che se una ragazza fosse vittima di uno stupro e rimanesse incinta, non dovrebbe essere un innocente a pagare per il male commesso da un altro. 

Irene, Simone e Alberto, rispettivamente 26, 22, 29 anni, sono favorevoli all’aborto, poiché ritengono che se una donna presenta problemi fisici e/o psichici e non è in grado si sostenere una gravidanza e allevare un figlio, abbia il diritto di decidere consapevolmente di porre fine alla gravidanza.

Prendendo come esempio una ragazza vittima di stupro, come mettere al mondo il frutto di una violenza, un essere indesiderato, non cercato, e non accettato? 

Commento:

Personalmente sono d’accordo con il secondo gruppo di ragazzi, poiché credo che la donna abbia il pieno diritto a decidere se avere un figlio o meno. Se il feto presentasse malformazioni sarebbe giusto metterlo al mondo, sapendo in anticipo che dovrà vivere una vita di emarginazione e insoddisfazione? Secondo me no, ed è soprattutto nell’interesse di quella futura persona che parlo. Se una ragazza malata di AIDS fosse incinta e il figlio ereditasse il virus, sarebbe giusto metterlo al mondo firmando la sua inevitabile condanna a morte? Una ragazza vittima di stupro? Non bisogna far pagare ad un innocente la malefatta di un’altra persona, ma che vita avrà questo bambino? E la madre come si sentirà guardando questo figlio?

Penso il figlio sia il frutto dell’amore di due persone che sono coscienti e si sentono pronte ad affrontare la gravidanza, la nascita e la crescita di un figlio che in futuro diventerà parte della società. Questo non può avvenire se la chiesa o chiunque puritano impone le sue ideologie cattoliche, che affibbiano alla la donna l’esclusivo compito di fare figli e allevarli. La donna è una persona con sentimenti e cervello, pertanto, è giusto che in merito all’aborto prenda le decisioni che ritiene più opportune, in quanto è lei che deve portare nel grembo la vita, e per chi è già madre saprà che non è così semplice.

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