Voce dissidente e critico della Cultura Italo-Australiana
Eneide Mignacca, fiorentino di quarant’anni, con un diploma conseguito all’Accademia di Belle Arti di Firenze, giunse in Australia nel 1960. Poco o nulla si sa di quest’uomo, che si colloca ai margini della storia accademica. È noto, infatti, che i biografi degli italiani in Australia spesso evitavano di parlare di figure che, in un modo o nell’altro, si contrapponevano all’establishment. Più facile, e più comodo, era esaltare chi ricopriva posizioni di potere, che fossero in enti ministeriali locali, università, o nel mondo dei media.
Ma Eneide Mignacca, pur se non allineato, aveva a cuore la lingua e la cultura italiana, sebbene i suoi approcci non fossero sempre ortodossi. Non di rado, infatti, non esitava a rivolgere pungenti critiche ai “mammasantissimi” del momento.
Ma vediamo ora come il “maledetto Toscano” manifestava il suo pensiero durante la sua carriera accademica in Australia. Tra i suoi studenti, nelle aule della Facoltà di Belle Arti, o durante vernissage, serate musicali, o anche solo per conto proprio, Eneide Mignacca sapeva essere arguto, bonario e allo stesso tempo aspramente velenoso. Piccolo e mingherlino, con un profilo dantesco e uno sguardo indignato, spesso con un mezzo sorriso toscano a bordo della bocca, era decisamente fiorentino, sebbene, in alcune occasioni, non si potesse fare a meno di scorgere in lui anche tratti da “aretino”. Come scrisse, “Quigiace l’Aretin, poeta tosco. Disse male d’ognun fùorché di Cristo! scusandosi col dir ‘Non lo conosco’…”. E proprio in questa veste di critico (senza mai ricorrere alla scurrilità) Mignacca si confrontava con personaggi come il romano “de Sinni” Cicinelli, ex guardia papalina, che a Sydney, dagli anni ’70 in poi, gestiva il suo foglio satirico (“TuttoSport”, poi “Opinione”) con una furia da censore, lanciando epiteti velenosi contro quasi tutti, ad eccezione di alcuni personaggi politici, giornalistici e del mondo dei viaggi.
Se Cicinelli si ergeva a censore in nome di se stesso, Mignacca lo faceva in nome della cultura, quella con la “C” maiuscola. Diventato socio della Dante Alighieri, diede vita a una rubrica nel bollettino dell’associazione intitolata Belly-aching (letteralmente “mal di pancia”), un titolo che indicava il suo spirito critico e disincantato. Nel 1976, quando nacque la “Radio Etnica”, Eneide Mignacca non esitò a lanciare strali contro il gruppo di volontari che, senza alcun compenso e con pochissime risorse, offrivano 14 ore settimanali di trasmissioni radiofoniche in italiano. Scrisse:
“Da vari mesi – scriveva Mignacca – a Sydney funziona una radio ‘etnica’ con trasmissioni dedicate ad ascoltatori italiani. I programmi vanno in onda ogni giorno alle 18 e vengono ritrasmessi alle 8 del mattino seguente. Gli addetti a questi programmi sono circa una dozzina, ma non tutti sono chiaramente identificabili. C’è chi si cela dietro uno pseudonimo leopardiano (Silvia), quasi sempre ‘romita e strana’, da ‘ignoto ricetto’, poiché raramente ne sentiamo la voce. Un’altra dicitrice, che spazia dall’astrologia alla filosofia morale, si presenta come Ambra, ma il suo accento napoletano fa pensare a nomi più appropriati come Filomena o Nunziatina. C’è poi una ‘Luciana’ che passa da lettura di romanzetti per bambini a consigli di giardinaggio. Tra gli altri, c’è un esperto in condensati, che elettrizza l’ascoltatore con riassunti patetici di storie strappacuore”.
Mignacca criticava la banalità dei programmi, che troppo spesso erano occupati dalla ripetizione incessante di canzoni pop, lasciando ben poco spazio a contenuti informativi o culturali. Il suo dissenso riguardava non solo la qualità delle trasmissioni, ma anche l’orientamento ideologico dei suoi conduttori, che egli accusava di limitarsi a compiacere il pubblico con futili passatempi invece di affrontare temi più rilevanti per la comunità italiana in Australia.
“Le canzonette,” scriveva Mignacca, “possono soddisfare il principio della ricreazione, ma non si può ridurre a questo l’intero palinsesto. La radio, soprattutto quella per gli immigrati, dovrebbe informare, educare, e ricreare in modo equilibrato. E, ammesso che la canzonetta sia una forma di intrattenimento legittima, non si può ignorare che esistano tante altre forme musicali che potrebbero essere sfruttate, senza dover sempre ricorrere alla solita routine”.
A più riprese, Mignacca sottolineava l’importanza di affrontare temi più profondi e significativi, che riguardavano direttamente la vita e le esperienze della comunità italiana in Australia. Avrebbe voluto vedere una radio che non solo trasmettesse musica, ma che si occupasse delle difficoltà, delle speranze, dei successi e dei fallimenti degli italiani all’estero. “Perché non una rassegna della stampa italiana, come fa la RAI ogni mattina?” si chiedeva. “Perché non ci si interessa delle vicende dei connazionali qui, a Sydney? Perché non parliamo dei problemi reali, piuttosto che dei tè delle signore o delle partite di calcio?”.
Anche la stampa italo-australiana non sfuggì alle sue critiche. Un paio di mesi dopo, Mignacca attaccò giornali come La Fiamma e Il Globo, accusandoli di ignoranza nei confronti della funzione culturale di una pubblicazione destinata a una comunità di emigranti. Secondo lui, questi giornali si limitavano a riportare fatti banali, spesso sensazionalistici, senza mai affrontare temi seri e urgenti per gli italiani all’estero. Le notizie di politica erano marginali, i crimini e le curiosità sociali dominavano le pagine, mentre temi più rilevanti, come le difficoltà legate all’immigrazione o le questioni culturali, venivano trascurati.
Mignacca criticava anche l’auto-censura di queste testate, che preferivano non esprimere opinioni forti o coraggiose. “Questi giornali – diceva – hanno eliminato tutto ciò che potrebbe sembrare editoriale, cioè opinioni vere e proprie. E così si sono auto-castrati, lasciando solo una cronaca superficiale e banale”.
Infine, lanciava una pungente provocazione: “Si potrebbe cambiare il nome di La Fiamma, visto che in questo giornale non si trova niente che possa giustificare un titolo così acceso. Forse sarebbe più adatto chiamarlo La Camomilla”.
In sintesi, Eneide Mignacca, con il suo spirito critico e il suo anticonformismo, non solo metteva in discussione la superficialità della cultura di massa italiana all’estero, ma cercava anche di stimolare una riflessione più profonda sulla funzione sociale ed educativa dei media e delle istituzioni culturali per gli emigranti italiani in Australia.
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