Questo benedetto italiano!

Fu il pistoiese Fernando Basili, insegnante presso il Dipartimento di Italiano per numerosi anni, a elaborare per la prima volta i dati dettagliati sullo sviluppo accademico della nostra lingua e cultura in Australia, nel suo saggio del 1966. Fernando Basili, nato a Pistoia il 7 luglio 1930 da Nella Panconesi e Gino Basili, decorato nella Prima Guerra Mondiale, giunse in Australia il 1º maggio 1960 a bordo della Nettunia.

Basili faceva parte della folta schiera degli “assistiti”, ossia di coloro che avrebbero dovuto rimborsare all’ICLE la somma anticipata per il loro viaggio. Ma, essendo diplomato, non rientrò nelle categorie privilegiate dal governo australiano e non beneficiò del passaggio gratuito o quasi, come accadde invece per la maggior parte degli immigrati britannici e per alcune categorie di non-britannici.

Quasi contemporaneamente giunse in Australia il fiorentino Eneide Mignacca, quarantenne con un diploma conseguito all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Nel 1962 fu la volta di Giovanni Andreoni, grossetano di 27 anni con una laurea in Scienze Politiche conseguita all’Università di Pisa; Andreoni era il più giovane dei tre.

I tre emigranti accademici, pur non lavorando mai insieme (anche se probabilmente si sarebbero conosciuti), contribuirono in modo significativo alla diffusione della cultura italiana e della nostra lingua in Australia.

Fernando Basili, il primo ad arrivare, impiegò i primi quattro anni della sua nuova vita a Sydney, affrontando numerose battaglie burocratiche per ottenere la sua prima delle numerose lauree. Eneide Mignacca, che aveva già alle spalle circa dieci anni di esperienza scolastica, riuscì a farsi assumere quasi subito come insegnante di storia dell’arte presso un istituto di scuole medie australiane. Giovanni Andreoni, laureato in Scienze Politiche nell’anno stesso del suo arrivo, si trasferì in Tasmania per insegnare in una scuola medio-superiore, per poi trasferirsi nel 1964 all’Università dell’Australia Occidentale, dove rimase per quattro anni, fino al 1968.

Ma qual era la situazione dell’insegnamento della lingua e della cultura italiana? Il primo “anno accademico” per l’italiano in Australia risale al 1935. Tuttavia, non si trattò di una vera e propria cattedra, ma di un dipartimento, poiché l’incaricato era un lettore (non un professore) di nome R.A. Shaw, e il numero di studenti iscritti fu… uno. A quel tempo, negli ambienti accademici si sosteneva che lo studio dell’italiano fosse inutile, dato che la cultura latina si poteva acquisire studiando il latino. Come se la letteratura italiana, che aveva influenzato la letteratura inglese più di quella di ogni altra nazione, non fosse affatto degna di considerazione!

Naturalmente, c’erano anche ragioni politiche alla base di questo disinteresse, come l’invasione dell’Abissinia, che ostacolò il progetto fin dall’inizio.

Nel 1936 il numero di studenti salì a tre, e nel 1937 si contarono quattro studenti di primo anno e tre di secondo anno. Nel 1938 si passò a 3 e 5, e nel 1939 a 4 e 3. Poi, naturalmente, arrivò la guerra, ma i corsi di italiano continuarono, anche se l’interesse per la lingua non crebbe affatto.

Nel 1945, con la fine della guerra, gli studenti del primo anno furono otto, quelli del secondo sette e quelli del terzo quattro. Fino a quel momento, l’unico insegnante era stato il professor Shaw. Tuttavia, con l’inizio dell’emigrazione postbellica e l’aumento del numero degli iscritti, crebbe anche il numero degli insegnanti, che entro il 1960 arrivarono a quattro.

Negli anni ’60, prima che le scuole superiori, medie, elementari e gli asili si interessassero all’insegnamento delle lingue straniere (cosa che avverrà solo nel 1972 con l’arrivo al potere del partito laburista di Gough Whitlam), l’italiano veniva insegnato attraverso vari corsi organizzati dalla ‘Dante Alighieri’, dalla ‘Workers Education Association’ e da istituti tecnici di Sydney, Griffith e Cooma. Va detto che la maggior parte degli studenti era adulta e di lingua inglese.

Gli emigranti italiani, tuttavia, avevano altre preoccupazioni e difficilmente si sarebbero resi conto di quanto il loro linguaggio fosse contaminato, finché non arrivò la Radio Etnica nel 1975. Purtroppo, oltre al fatto che la maggioranza degli emigrati parlava dialetto in casa con i propri figli, anche il loro dialetto aveva subito un evidente degrado linguistico, proprio come l’italiano. Il fenomeno era caratterizzato da deformazioni e anglicismi. Alcuni temevano che si sarebbe creato un vero e proprio “italiano-australiano”. E fu proprio su questo problema che si impegnarono, in modo indipendente, Giovanni Andreoni e Fernando Basili.

Sia Basili che Andreoni, ciascuno per conto suo, tentarono di portare a termine studi seri su questa lingua ibrida. Entrambi pubblicarono saggi e Basili lavorò a un dizionario trilingue che pubblicò a sue spese molti anni dopo.

Non era forse così che si era sviluppato lo yiddish, una lingua creata dagli ebrei dell’Europa centrale? Non era forse così che lo spagnolo, il portoghese, il francese e il rumeno erano nati sotto l’influenza della dominazione romana di quei territori? E non era forse così che anche il maltese si era sviluppato, assorbendo dall’arabo e dall’italiano ciò che gli mancava?

La Radio Etnica, con Pino e Livia Bosi, Franca Arena e Lena Gustin (affettuosamente chiamata “Mamma Lena”), riuscì in qualche modo a fermare il degrado linguistico degli emigranti, tanto da far scomparire l’australo-italiano (come lo definiva Andreoni) o l’italiese (come lo chiamava Basili). Tuttavia, non vennero mai istituiti corsi avanzati per dare alle seconde generazioni l’opportunità di parlare e scrivere un italiano decente.

Nel frattempo, fuori dal circuito scolastico e accademico, nacquero nel 1967, due anni dopo la visita del Presidente Giuseppe Saragat e del Ministro degli Affari Esteri Amintore Fanfani, i corsi del sabato gestiti dai Co.As.lt. (Comitati Italiani di Assistenza) nelle varie città australiane. Finanziati dal governo italiano e dalle autorità scolastiche australiane, ma sotto il controllo della comunità, questi corsi impartivano nozioni di base di italiano ai figli degli emigranti, utilizzando le aule delle scuole australiane. Per essere veramente efficaci, però, era necessaria una rete capillare di aule, che non sempre fu facile da realizzare.

A Sydney, sotto la direzione di Enoe Di Stefano, uno dei pilastri dell’insegnamento fu Sergio Ulivelli, che ricordava le difficoltà nell’ottenere le aule promesse dal Governo: “Il fatto che esistesse l’ordine da parte del governo australiano di mettere a disposizione le scuole elementari per i nostri corsi non significava assolutamente nulla, perché i direttori scolastici si sentivano non solo responsabili, ma anche padroni delle scuole che dirigevano.”

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