Childcare questione morale prima che economica

Diciamolo chiaro: la riforma del sistema di childcare in Australia non è solo una faccenda di bilanci e standard. È una questione morale. Dopo gli ultimi fatti di cronaca – sistematici abusi in centri per l’infanzia – è evidente che qualcosa si è rotto. La fiducia pubblica, prima di tutto.

Il governo ha annunciato il taglio dei fondi alle strutture non sicure. Bene, ma non basta. Serve un cambio di paradigma: non solo più controlli o telecamere, ma una visione nuova dell’infanzia. Il sistema attuale, in mano perlopiù a privati (che ricevono il 77% dei sussidi statali), è squilibrato e spesso diseguale. Le famiglie meno abbienti, nelle aree rurali o periferiche, restano escluse o si arrangiano come possono.

La soluzione? Più strutture pubbliche, personale formato e ben retribuito, uguaglianza d’accesso. E magari anche un coraggio in più: ripensare il modello sociale che costringe entrambi i genitori a lavorare a tempo pieno per sopravvivere. Un tempo, uno dei due restava a casa. Non era una regressione, ma una scelta di cura. Oggi la cura è un costo da esternalizzare. E il prezzo lo pagano i bambini.

Investire sul childcare significa investire su una società più giusta. I numeri parlano chiaro: per ogni dollaro speso in servizi di qualità, ne tornano cinque in produttività e benessere sociale. Continuare a rimandare equivale a tradire una generazione. E il futuro di una nazione non può poggiare sulle macerie dell’indifferenza.