Un embargo lungo oltre due decenni è finalmente giunto al termine. L’Australia ha ufficialmente revocato il divieto sulle importazioni di carne bovina canadese, in vigore dal 2003 a seguito della scoperta del primo caso domestico di encefalopatia spongiforme bovina (BSE) in Canada – più nota come la “malattia della mucca pazza”.
Lo ha annunciato con soddisfazione l’Agenzia canadese di ispezione alimentare (Canadian Food Inspection Agency), definendo la decisione australiana come un passo avanti nella normalizzazione dei flussi commerciali agroalimentari a livello globale.
La revoca arriva a pochi giorni di distanza da un provvedimento simile adottato nei confronti della carne bovina statunitense, segno di una politica commerciale australiana sempre più improntata al pragmatismo e alla diversificazione dei fornitori, in un contesto globale instabile e segnato da tensioni sui costi di produzione.
A livello politico, la reazione del governo canadese è stata immediatamente positiva. “Con il ripristino dell’accesso all’Australia, un mercato chiave nell’Indo-Pacifico, possiamo offrire nuove opportunità ai nostri produttori per esportare carne bovina di alta qualità”, ha dichiarato il ministro canadese dell’Agricoltura Heath MacDonald, sottolineando la reputazione internazionale dell’industria zootecnica canadese.
Tuttavia, gli analisti economici invitano alla cautela. La riapertura del mercato non è una garanzia di boom commerciale. Al contrario, la concorrenza sui prezzi resta estremamente agguerrita. La carne canadese e statunitense rimane tra le più costose al mondo, e non sarà facile ritagliarsi una quota significativa in un Paese come l’Australia, che non solo è autosufficiente, ma è anche uno dei maggiori esportatori globali di carne bovina.
“È improbabile che vedremo un’ondata di carne canadese nei supermercati australiani”, osserva Jerry Klassen, analista di Resilient Capital. “I prezzi nordamericani sono semplicemente troppo alti rispetto a quelli australiani. E oggi, anche gli Stati Uniti, che storicamente erano esportatori netti, si trovano costretti a importare per far fronte alla domanda interna”.
Al di là dei numeri, però, la riapertura ha un forte valore simbolico. Segna la fine di un’epoca e conferma la piena riabilitazione sanitaria e commerciale del sistema alimentare canadese dopo l’incubo BSE che, all’inizio degli anni 2000, aveva colpito duramente i mercati globali.
La riapertura del mercato non è sinonimo di liberalizzazione incontrollata. La tutela dei consumatori australiani, del resto, resta una priorità assoluta.
