Nel 1936, la comunità italiana di Sydney, guidata dalle autorità consolari al tempo molto coinvolte nel contesto locale, iniziò a raccogliere fondi per la costruzione di una Casa d’Italia. La struttura doveva “essere un edificio a più piani per ospitarvi tutte le nostre istituzioni”, coordinare le varie associazioni italiane e promuovere gli interessi della comunità.
A differenza di altre città australiane come Port Pirie e Perth, “questa patriottica e nobile iniziativa degli Italiani d’Australia” riscontrò notevoli problematiche, prima di arenarsi definitivamente con l’entrata in guerra dell’Italia.
Per coronare l’anniversario della conquista italiana di Addis Abeba, nel maggio del 1936, il Console Generale dell’epoca, Comm. Dr. Paolo Vita-Finzi, volle ufficialmente annunciare la sottoscrizione pubblica per la erigenda Casa d’Italia a Sydney.
Circa un mese dopo, però, uno sconosciuto gruppo istituì una società per azioni chiamata Italian Australian Cooperative e fece pubblicare, sul The Sun e su altri quotidiani in lingua inglese, un programma di raccolta fondi di £100,000 per la costruzione di una Casa d’Italia.
Non è chiaro se si trattasse di antifascisti, fatto sta che a presiedere la riunione dei ‘ribelli’ fu il sindaco di Sydney, Archibald Howie, il quale si dichiarò subito neutrale davanti all’imbarazzante questione venutasi a creare.
La risposta dall’Establishment, attraverso i giornali The Italo-Australian e Il Giornale Italiano, non tardò ad arrivare, con un monito bilingue che invitava i connazionali a stare alla larga da iniziative che non fossero approvate dal Console Generale e dalle maggiori associazioni (pro-fasciste) dell’epoca, tra cui lo stesso Fascio di Sydney, la Società Dante Alighieri, l’Associazione Combattenti, il Club Isole Eolie, la Camera di Commercio Italiana, il Club Italia e le organizzazioni giovanili.
Alla Casa d’Italia persino il Duce aveva dato la sua benedizione, chiedendo che venisse affissa una lapide marmorea in ricordo della resistenza contro le sanzioni imposte dalla Lega delle Nazioni a seguito dell’annessione dell’Abissinia. Cominciarono, da lì in poi, a pervenire contributi a fondo perduto da parte di compagnie, organizzazioni e molti personaggi più o meno noti della comunità, grazie a serate cinematografiche, cene di beneficenza, vendita di oggetti, nonché donazioni da parte di esponenti delle forze armate e da piroscafi della Regia Marina in visita nella baia di Sydney.
Nel Settembre del 1936, forse a causa delle esigue somme raccolte, il comitato decise di creare un albo d’onore da presentare al Duce. Contemporaneamente, venne annunciato l’affidamento del progetto all’architetto Florentino di Fausto, che aveva curato la costruzione di edifici nelle colonie italiane della Tripolitania e di Rodi nel Mar Ionio.
Tra i più importanti oblatori del progetto vi furono lo stesso Console Generale Vita-Finzi con £50 e l’avventuriero Vice Console Onorario Buoninsegni Vitali, che contribuì con £10. Il pittore Antonio Dattilo Rubbo, attento sostenitore delle opere di italianità, donò £10 unitamente ad una promessa di acquisto di 100 azioni, mentre il Circolo Isole Eolie intraprese una serrata mobilitazione di raccolta fondi tra gli isolani.
Il Delegato Apostolico Mons. Giovanni Panico partecipò personalmente con un contributo di £5.
Nel 1937, finito il primo anno di entusiasmo, le sorti della Casa d’Italia cominciano a essere oggetto di ripensamenti. Francesco Lubrano, presidente del Club Italia, annunciò in un discorso pubblico davanti al Console Generale che la costruzione di una “Casa per gli Italiani” non sarebbe stato “un fatto compiuto.”
Per dare l’impressione che qualcosa era stato fatto, Lubrano chiuse i battenti del Club Italia e si mise a capo del Circolo Italiano, la cui nuova sede di Macquarie Place doveva servire come “gradino verso la Casa d’Italia”.
Per gran parte del 1938, le celebrazioni e le raccolte fondi pro Casa d’Italia continuarono. Vi furono spettacoli all’aperto e donazioni personali da tutta l’Australia e arrivarono anche contributi dalle Colonie Italiane all’estero. Il progetto si arenò con la partenza di Vita-Finzi, che a causa delle leggi razziali, venne radiato dalla Farnesina e fu costretto a fuggire in Argentina dove si guadagnò da vivere vendendo enciclopedie porta a porta.
Nel 1940, infine, a causa della partecipazione dell’Italia in guerra contro la Gran Bretagna, gli italiani d’Australia vennero silenziati, internati e le organizzazioni comunitarie disciolte dal Governo Federale Australiano per timori di sovversione. Con loro, se ne andò anche il sogno di una Casa d’Italia ‘istituzionale’.
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