Veneto 1880. Terra affamata in mano ad una spietata oligarchia che sfruttava senza pietà le masse di contadini analfabeti. L’avvento dell’unità d’Italia invece di migliorare, aveva peggiorato la situazione economica e le disuguaglianze sociali.
La dieta popolare era quasi esclusivamente a base di polenta e di conseguenza il livello di salute pubblica disastroso. A queste cause umane in quegli anni si erano aggiunte una serie terribile di inondazioni devastanti.
Per molti l’unica soluzione restava l’emigrazione.
Fu cosi che una serie di povere famiglie di contadini venne attratta da un offerta che circolava riguardo l’acquisto di appezzamenti agricoli fertili con permesso di costruire casa ed annessi in una terra lontana ma opulenta e proiettata verso il futuro che si trovava nella Papua Nuova Guinea e sarebbe chiamata: Nuova Francia. Con capitale Port Breton città modernissima in piena espansione. Infatti la spedizione in partenza era la terza essendo stata preceduta da altre due.
L’ideatore del progetto era francese. Una singolare figura da operetta, sedicente aristocratico che si faceva chiamare Marquis de Rays. Si trattava di reperire in qualsiasi modo la somma richiesta, 1800 franchi d’oro, o in alternativa impegnarsi a lavorare per 5 anni con remunerazioni minime ma ricevendo in cambio 20 ettari e una casa di 4 stanze da letto, oltre il trasporto e gli alimenti. Ben 50 famiglie venete firmarono il contratto.
Naturalmente l’operazione suscitò i sospetti di frode da parte delle autorità sia francesi che italiane che rifiutarono la partenza della nave dai loro rispettivi porti. Problema che il nostro bellimbusto raggirò brillantemente facendo salpare il brigantino India da Barcellona il 9 di Luglio del 1880. Totale imbarcati 340 persone quasi tutti veneti.
Assieme a uomini validi c’erano vecchi, donne, alcune in cinta e bambini. Il viaggio durò 97 giorni e fu l’anticamera dell’inferno che i nostri malcapitati trovarono quando arrivarono a destinazione. Alcuni non ce la fecero a superare le condizioni disumane sulla nave e già prima di arrivare, il numero dei passeggeri si era ridotto in modo considerevole. Ma il peggio si presentò all’arrivo nell’isola che in effetti era la Nuova Irlanda.
L’india entrò nella rada della fantomatica Port Breton il 14 ottobre 1880. Una landa desolata, con una vegetazione impenetrabile e minacciose apparizioni di selvaggi primitivi. Nessuna costruzione ne struttura urbana. Ancorata nella baia trovarono un piccolo vascello spettrale lasciato li dalla spedizione precedente la Genil.
I coloni fecero buon viso a cattiva sorte e scesero a terra cominciando ad innalzare palizzate per proteggersi dagli indigeni e a costruire rudimentali capanne. Le provvigioni erano disperatamente scarse, cosi fu deciso di mandare la Genil a Sydney per rifornirsi e tornare il più presto possibile.
Sovrumana la determinazione e la fiducia di quella gente nel voler in tutti i modi fondare una colonia autonoma di loro proprietà nonostante le condizioni disperate in cui si trovavano.
Sembra che dopo alcune settimane di resilienza ormai all’estremo, provassero a cercare aiuto nei dintorni mandando una scialuppa con 4 uomini ad esplorare i territori limitrofi.
Secondo quanto ricordo di aver letto su un libro di memorie dell’ultimo grande discendente del gruppo, Floriano Volpati, i 4 trovarono un’isola non lontana abitata da una tribù di indigeni ostili e addirittura dediti al cannibalismo.
Fatto sta che di tre di loro non si seppe più niente e uno invece si salvò in maniera rocambolesca fingendosi pazzo, intrattenendo il capo tribù con urla, schiamazzi, risate e capriole.
La pazzia è stata sempre ritenuta sacra dalle credenze primitive cosi il nostro connazionale riusci a sopravvivere fino all’arrivo del capitano di una nave che aveva rapporti commerciali con i selvaggi che alla vista del prigioniero capì il sotterfugio e lo comprò barattandolo con della merce.
Fallito anche quest’ultimo tentativo il gruppo ormai ridotto a poco più di 200 persone stremate, decise di abbandonare l’impresa, risalire sulla malridotta nave, India e salpare verso la vicina Numea nella Nuova Caledonia. Era il 20 Febbraio del 1881. L’india partì in mattinata, poche ore dopo arrivò la Genil con i vitali rifornimenti!
Nessun regista o scrittore avrebbe mai potuto immaginare una serie di colpi di scena cosi tragici e improbabili. Arrivati in Numea alla nostra pattuglia di sciagurati caddero letteralmente le braccia.
Si trattava di un’altra terra maledetta, inospitale e per di più adibita a colonia penale. Le autorità locali dichiararono la nave non idonea a navigare e offrirono ai “rifugiati” la loro ospitalità e accoglienza, cosa che fu rifiutata lasciando la situazione in una condizione di empasse senza via di uscita.
Ma a quel punto qualcosa di provvidenziale accadde! Finalmente!
La notizia dell’odissea di questo gruppo di contadini italiani, raggirati, ingannati e decimati arrivò a Sydney e in modo spontaneo e intrattenibile, scattò un movimento di solidarietà popolare gigantesco.
Gli abitanti di Sydney andarono assieme al console italiano dal primo ministro Henry Parkes e chiesero a gran voce che gli italiani venissero recuperati e accolti nel Nouvo Galles del Sud.
Si formarono comitati di accoglienza, volontari per l’assistenza e si nolegiò una nave per andare a soccorrere i sopravvissuti. Il 7 di Aprile del 1881 la Jameson Paterson entrò nel magnifico porto di Sydney con a bordo 217 miracolati.
L’accoglienza a Circular Quay fu trionfale. Il governo dopo qualche esitazione accettò che i profughi venissero accolti in maniera permanente ma impose loro di non restare uniti almeno per un anno.
Separarsi e integrarsi più velocemente possibile. Alla scadenza dell’anno molti di loro accettarono la proposta fatta loro da Rocco Camminiti, un marittimo, calabrese di Gallico Marina, che faceva la spola tra il Qeensland e Sydney ed era diventato loro amico, di acquistare degli appezzamenti di terreno nel nord dello stato offerti quasi gratis perché nessuno era mai riuscito a farci crescere qualcosa.
Fu cosi che una trentina di famiglie di contadini veneti si trasferì al nord fondando New Italy. Coltivando ortaggi, cereali, vigna, canna da zucchero e allevando animali ma soprattutto mettendo in piedi una industria di legname gigantesca e primeggiando al mondo, si al mondo, nella produzione della seta vincendo medaglie di qualità dagli Stati Uniti all’Europa.
E pensate la gioia, l’orgoglio quando nel 1906 la seta prodotta a New Italy in Australia vinse il primo premio alla fiera internazionale di Milano.
In conclusione questa è un’altra di quelle parabole edificanti a lieto fine grazie al prevalere di sentimenti e di logiche di solidarietà e di fratellanza che io accoppio a quella che vi ho raccontato alcuni mesi fa del magnifico e sotto certi punti di vista addirittura romantico e “imbarazzante”, idillio nato in Australia tra i prigionieri di guerra italiani che avevano accettato di andare a lavorare nelle aziende agricole rimaste prive di manodopera maschile per via della guerra.
Nemici e ostili prima di conoscersi e vittime della più squallida e infame propaganda di regime da una parte e dall’altra, amici e in qualche caso intimi, dopo essersi conosciuti.
Grazie per l’attenzione a alla prossima fRAncesCO
Be the first to comment