Domenico Tiburzi re della Maremma

Sono esattamente 50 anni che la mia vita si svolge tra la Maremma e l’Australia. Mi ritengo estremamente privilegiato da questa situazione anche se, ora, sulla soglia degli 80 anni le distanze (non solo spaziali) che separano queste due realtà diventano sempre meno agevoli e lo spirito di adattamento sempre più debole. 

Ma per fortuna il pensiero non ha limiti e le nuove tecnologie ci hanno fatto il dono dell’ubiquità. Quindi continuerò a studiare e trarre paragoni tra questi due mondi, non solo metaforicamente, agli antipodi. 

Oggi, dopo aver parlato di Ned Kelly la settimana scorsa mi occupo di Domenico Tiburzi, bandito nato a Cellere, sul confine tra Gran Ducato di Toscana e Stato della chiesa, nel 1836. Il parallelo tra i due ribelli inizia subito dall’età in cui iniziarono i loro guai con la legge. 

La stessa 15/16 anni e per ragioni simili, risse, aggressioni, piccoli furti fomentati da una posizione sociale da derelitti, vittime delle prepotenze padronali e della repressione poliziesca.

Secondo alcune fonti ci sarebbe un ulteriore similitudine tra l’irlandese e il maremmano nel loro coinvolgimento politico contro il potere costituito. Nel marzo del 1867 la polizia lo segnalò tra gli aderenti all’Associazione castrense, un’organizzazione repubblicana, unitaria e antipapale. 

Tiburzi avrebbe operato da staffetta portaordini. Senz’altro i due fuori legge avevano la stessa sete di giustizia e equità ritenendosi vittime e vendicatori delle palesi ingiustizie. 

Tiburzi diceva: “io sono contro la legge ma per la giustizia” e aggiungeva che lui uccideva chi esagerava nella violenza e nella prepotenza anche tra i compagni briganti. 

Il suo attraversamento del Rubicone per passare in modo irreversibile, nella clandestinità e alla scalata del comando del banditismo locale avviene a 31 anni. 

Viene sorpreso a rubare un fascio d’erba per le pecore nella proprietà del marchese Guglielmi. Il guardiano, tal Angelo Del Buono, gli infligge una multa esasperante. 

Quella notte Domenichino non dormì e qualche giorno dopo, davanti a numerosi testimoni lo uccide con un colpo di fucile. Nessuno dei presenti lo denunciò per paura. Aspettarono che fosse rinchiuso in carcere per banali molestie da ubriaco, per farlo. 

Fu condannato a 18 anni di lavori forzati a Civitavecchia. Siamo nel 1869 alla vigilia della presa di Porta Pia e quindi il territorio di frontiera così funzionale ai briganti viene unificato ma per i contadini e la plebe in generale non cambia niente. 

Che sia stato principalmente il ‘malgoverno’ a favorire lo sviluppo del brigantaggio, veniva confermato anche da Giuseppe Massari, deputato del Regno d’Italia, che nella sua “Relazione sulle cause del brigantaggio” definiva il fenomeno come “la protesta selvaggia e brutale della miseria contro le antiche e secolari ingiustizie”. 

Dopo due anni di lavori forzati Tiburzi riesce a fuggire e a rifugiarsi nella macchia più folta attorno a Montauto e nella selva del Lamone e instaurando un potere parallelo a quello istituzionale. 

Una certa simiglianza con la Mafia siciliana con la differenza che Tiburzi proteggeva i grandi proprietari in cambio della “tassa sul brigantaggio” che poi, proprio come Kelly, distribuiva per la maggior parte ai bisognosi.

Fautore quindi di un equilibrio sociale che rispettava i ricchi ma cercava di “livellare” le differenze. 

I delitti di Tiburzi riguardarono esclusivamente delatori, spie, e compagni briganti crudeli e disumani che non obbedivano alle sue regole. Commise ufficialmente 17 omicidi. 

Nessuno tra le forze dell’ordine che rispettava e compativa definendoli “poveri figli di mamma”. 

Amato e rispettato dai poveri ma anche da benestanti che gli riconoscevano un ruolo stabilizzante, riusci a non farsi prendere per ben 26 anni ostentando persino frequenti apparizioni pubbliche e visite familiari. 

Fu ucciso a 60 anni, ormai decrepito e zoppo mentre assieme al suo luogotenente Fioravanti si trovavano in un podere vicino a Capalbio ospiti della famiglia Franci a cena in una piovosa notte di ottobre. 

Un reparto di carabinieri, non è chiaro se casualmente o allertati da qualcuno, si avvicino’ alla casa facendo scattare la reazione dei cani. Fioravanti giovane e agile riuscì a uscire sparando alla cieca e dileguandosi nell’oscura macchia in un baleno. 

Tiburzi invece non ce la fece, facile obiettivo nella cornice della porta illuminata fu colpito ad una gamba, cerco di fuggire ma i carabinieri gli spararono alle spalle colpendolo alla nuca.

Avrebbero potuto prenderlo vivo ma è probabile che l’ordine fosse di ucciderlo. Troppe cose avrebbe potuto rivelare in un processo pubblico specie sull’imbarazzante connivenza dell’oligarchia locale. 

L’episodio finale della sua esistenza, quello della sua sepoltura, è una perla di folclore e di pietà. Il parroco di Capalbio si rifiutò di seppellirlo nella terra consacrata del cimitero ma il popolo unito si ribellò e chiedendo che fosse interrato all’interno. 

La disputa, molto accesa, si concluse con una soluzione di compromesso. Fu deciso di seppellirlo sulla linea di confine del cimitero, metà di dentro e metà di fuori. La parte inferiore fino allo stomaco ritenuta innocente all’interno, l’altra comprendente il cuore e la mente fuori. E per finire anche a lui come a Kelly asportarono il cervello inviandolo al famigerato Cesare Lombroso perché vi individuasse segni premonitori. 

In sintesi le differenze tra Ned Kelly e Domenico Tiburzi sono soprattutto di ordine etnico e politico. Kelly lo dobbiamo ritenere anche un soldato che combatteva anche per il riscatto di tutti gli irlandesi. Non scese mai a livelli di brigante da strada. In definitiva,nel suo breve regno, rapino’ solo banche. 

Tiburzi invece provò ad instaurare sul suo lungo regno un dominio parallelo a quello vigente ma non combattendo contro privilegi e differenze di classe ma cercando di compensare l’ingiustizia intrinseca destinando il ricavato della sua tassa sul brigantaggio ai più poveri. 

Due bei personaggi! Indomiti e sognatori oggi ridotti a romantiche icone turistiche commerciali. Manciano in Toscana e la limitrofa Cellere nel Lazio sono il cuore della “Tiburzi country”. 

Se ne avete occasione fate un pellegrinaggio nella zona. È il segreto meglio conservato delle bellezze d’Italia.

Grazie per l’attenzione e alla prossima. fRAncesCO.

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