La storia di oggi non l’ho appresa sui libri, a scuola o da film e documentari. La storia di oggi è parte della mia storia personale che si interseca con la storia nazionale.
Poche settimane fa ho oltrepassato la soglia degli 80 anni e ho scoperto, quindi, di essere ormai anche io un reperto e un testimone storico a tutti gli effetti. Riguarda geograficamente l’Africa Orientale e storicamente l’insediamento italiano a volte pacifico e commerciale a volte aggressivo e belligerante. Il luogo simbolo, in quanto primo possedimento in assoluto italiano oltre mare, è quello di Assab.
Le cronache storiche registrano che nel 1869, pochi mesi prima che Roma venga riunita all’Italia tramite la “breccia” di Porta Pia, la società di navigazione Rubattino, acquista la baia di Assab in Eritrea sul mar Rosso.
L’anno seguente “il 13 marzo, la bandiera italiana viene issata per la prima volta ad Assab dopo tre salve di cannone della nave Africa e vengono fissati con dei pali in legno i confini del possedimento”. (wikipedia)
La sovrapposizione di competenze viene definitivamente risolta nel 1882 quando lo stato italiano acquista ufficialmente Assab dalla Rubattino. Nel 1944 mio padre e mia madre si stabilirono ad Assab provenienti da Asmara dove ero nato io due anni prima. Quindi io e mio fratello Luigi, nato ad Assab nel 1948 siamo il frutto dell’epopea coloniale italiana e i nostri genitori i colonizzatori.
Mio padre era arrivato in Eritrea nel 1935 come soldato di fanteria, mentre mia madre era giunta orfana nel 1934 “adottata” dalla sorella maggiore che si trovava già là da qualche anno assieme al marito e avevano aperto in successione, tre attività commerciali, una ferramenta, una torrefazione e una sartoria a pochi passi dal mercato del pesce di Asmara punto centrale della città.
Anche mio padre richiamò all’Asmara due dei suoi fratelli Luigi il maggiore, falegname e Ernesto, più giovane, sarto. La conquista dell’Eritrea iniziata con l’acquisto di Assab nel 1869 si era conclusa nel 1890 con la capitale Massaua.
Non era stata una passeggiata. Le tribù locali, nonostante l’immane inferiorità tecnologica e di armi, infersero agli italiani alcune cocenti e umilianti sconfitte in particolar modo quando gli italiani cercarono di espandersi verso l’Etiopia.
A Amba Alagi, Macallè e soprattutto Adua si consumarono tre massacri di italiani rimasti nella nostra memoria collettiva e che Mussolini usò come uno dei motivi per dichiarare guerra all’Etiopia 40 anni dopo. Infatti con l’avvento del fascismo nel 1922 e la sua retorica di grandezza e condita con la gelosia degli imperi coloniali di Francia, Inghilterra, Portogallo, Spagna, Olanda e Germania, l’Italia aveva dato inizio a una politica coloniale mirante a creare un “impero”.
La seconda guerra contro l’Etiopia ha inizio il 2 Ottobre 1935. Il 6 viene vendicata la sconfitta di Adua. La Società delle Nazioni condanna l’aggressione e l’invasione immotivata e sancisce sanzioni economiche e commerciali contro l’Italia.
L’Italia usa in maniera massiccia l’aviazione che agisce in maniera incontrastata. Tonnellate di esplosivo vengono lanciate sul paesi e villaggi, le vittime sono per lo più civili inermi.
L’episodio è registrato nel diario del generale De Bono, che così scrive: “Il Negus ha già protestato per il bombardamento aereo dicendo che si sono ammazzati donne e bambini. Non vorranno che si buttino giù dei confetti”.
Ma l’azione più immonda perpetrata dagli italiani fu quella di usare i gas tossici in modo criminale e indiscriminato.
Sfruttando l’esperienza fatta precedentemente in Libia che secondo molti attribuisce all’Italia il primato assoluto dell’uso di armi chimiche in guerra.
Lo so che molti storceranno il naso a leggere queste notizie e non so se mio padre sapeva che le truppe italiane di cui faceva parte usavano questo tipo di armi.
So che per qualche anno, Indro Montanelli, presente come sottotenente cercò di negare il misfatto, fin quando fu inconfutabilmente smentito e dovette ammetterlo.
Concludo tornando ai miei ricordi di infanzia, sono stato ad Assab fino all’età di 8 anni. Li ho svolto l’asilo, le prime due classi elementari dai missionari, ho fatto la prima comunione, ho avuto i primi amici quasi tutti eritrei e l’impressione che mi è rimasta è quella di una buona convivenza tra “noi” e “loro” appena velata da un po’ di sufficienza da parte nostra ma il giudizio finale lo lascio ad una studentessa di Sydney che nel 1996 si accingeva ad andare in Eritrea per fare una ricerca sull’occupazione italiana equiparata a quella inglese.
Venne alla radio ospite del mio programma a parlarne. Ci lasciammo con la promessa che sarebbe tornata a riferire i risultati a progetto concluso. Fu di parola tornò dopo alcuni mesi e alla mia domanda: allora qual’è la differenza tra occupazione italiana e quella inglese? Mi rispose in modo lapidario. Ho incontrato una moltitudine di eritrei figli di uomini italiani e donne eritree. Nessuno figlio di inglesi!
Dedico questo mio racconto a Massimo, Elisa, Bruno, italo eritrei, tutti miei intimi amici da una vita.
Grazie per l’attenzione e alla prossima. fRAncesCO.
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