di Rosanna Dabbene Perosino
Zzzzzzzzzzzzzzz Ahhh, sono appena tornata da uno svolazzo alla spiaggia vicina al complesso di New Italy, a Woodburn. L’acqua del mare e’ trasparentissima, ma, poiche’ ho capito che avrei fatto tardi per il racconto delle peripezie dei coloni, sono dovuta scappare, anche se mi sarebbe piaciuto trattenermi per vedere i bambini correre e divertirsi su quel lembo di spiaggia non troppo frequentata, come al contrario, sono invece diventate le nostre spiagge di Nord Sydney. Zzzzzzzzzzzz
Nello spazio all’aperto del caffe’, comodamente sedute, cinque persone stanno conversando piacevolmente. L’aria e’ calda, ma di tanto in tanto arriva una folata di brezza leggera, che rinfresca piacevolmente l’ambiente. Bruno, Luciano, Andrea, Franca ed Antonio, che ha appena espresso le sue scuse per Maria, rimasta a casa a riposare, dopo una leggera influenza. Sul tavolino, vedo una sola tazza di caffe’, ordinata da Antonio, mentre i giovani hanno optato per qualcosa di fresco. Infatti Franca si sta deliziando con un grande gelato al limone, mentre i tre ragazzi, stanno godendosi la birra. Come sempre, Antonio interrompe la conversazione, onde accelerare i tempi del racconto sui coloni, quindi Andrea prende la parola:
-“ Dunque, come abbiamo saputo, il primo ed il secondo convoglio di coloni sono stati un vero disastro. Ma ora, parliamo del terzo viaggio, che poi, e’ quello di maggior interesse per noi, perche’ parla dei pionieri di New Italy.
Infatti, mentre si stava provvedendo alla preparazione del veliero, in molti centri rurali del Veneto, numerosi aspiranti coloni, si stavano preparando al grande passo…
Era ormai la fine dell’ Aprile 1880. I futuri coloni del De Rays, provenienti da parecchi centri rurali del Veneto, stavano per liquidare ogni attivita’, vendere le proprieta’ e preparare i bagagli, poiche’ il giorno della partenza era ormai vicinissimo.
Il veliero a vapore India, di mille tonnellate, ancorato al molo del porto di Barcellona, era pressoche’ pronto per la navigazione. La partenza era stata disposta per i primi di Luglio e, fra i parenti ed amici dei futuri coloni c’era grande eccitamento e commozione. Abbracci e baci tra addii e lacrime.
Era l’11 maggio 1880, quando i partenti si lasciarono alle spalle le casette ariose ed allegre, i villaggi in fiore, le colline ridenti e tutti i loro cari. Essi portavano con se’ un cuore pesante ed un patrimonio di ricordi ed affetti. Con gli occhi rossi ed un nodo alla gola guardavano il cielo, sospirando mentre sognavano la nuova terra lontana, che li avrebbe accolti come una madre, con calore ed affetto, pensando che essa gli avrebbe dato nuova prosperita’ e felicita’.
Si vedeva una lunga colonna di carri agricoli, carichi di mobili, arnesi da lavoro, sementi, piantine per innesti, indumenti vari e tutto cio’ che sarebbe stato necessario per iniziare una nuova vita e far produrre le nuove terre vergini.
Quando i coloni veneti arrivarono a Barcellona, il Console Italiano si fece cura di ammonire i fiduciosi, sui rischi ed i pericoli a cui sarebbero andati incontro. Tento’ in tutti i modi di dissuaderli a partire, naturalmente non gli disse che i coloni della prima spedizione erano morti tutti e quelli della seconda erano dispersi, forse perche’ non lo sapeva o forse perche’ non voleva mettersi in cattiva luce con le persone importanti, sta di fatto che i coloni veneti decisero di scegliere l’unica via che gli era rimasta, cioe’, quella di andare verso l’avventura e verso l’ignoto. Erano 340, i coloni veneti salpati da Barcellona.
L’India levo’ le ancore il 9 luglio 1880 e si diresse alla volta del Canale di Suez. Al comando della nave era il Capitano Leroy ed il Governatore della colonia era un tizio che godeva della massima fiducia del Marchese, un certo Le Prevost, persona piuttosto taciturna ed enigmatica.
A bordo, salirono inoltre, il medico Goyon ed il Rev. Padre Lanuzei, un missionario cattolico, che era stato assegnato a Port Breton. A quanto pare, la Chiesa aveva preferito adottare tale formula prudente, anziche’ dare riconoscimento ufficiale al progetto, per evitare di dichiarare che quella era una legale zona cattolica.
Tuttavia, il Marchese si dichiaro’ esultante per tale onore, conferito alla colonia libera di Port Breton e non si senti’per niente colpevole di tutti quei morti che la sua ingordigia aveva gia’ causato e che avrebbe continuato a fare. “-
Mentre i giorni passavano, il calore sulla nave era diventato insopportabile. Nei cameroni pieni zeppi di gente, non esisteva ventilazione ed il cibo era immangiabile. La situazione diventava sempre piu’ critica, a causa delle sofferenze indicibili, le privazioni ed i maltrattamenti che i coloni dovevano sopportare. Lo sconforto era evidente ed ogni giorno che passava, sembrava fosse un’eternita’. Verso la meta’ del viaggio, la maggior parte dei passeggeri, era ormai preda delle malattie tropicali. Fu solo la loro eccezionale fibra fisica e morale e la loro forza d’animo che impedi’ a quegli sventurati coloni di lasciarsi vincere dal panico e cadere nel vortice della pazzia.
-“Ah,”- interviene Luciano, con disprezzo, -“ e poi abbiamo il coraggio di parlare di criminalita’? I criminali non sono quelli che sono in galera, sono quelli che vivono nei castelli, attorniati dai servitori e dalle guardie del corpo, ma quelli sono quelli che se la cavano sempre, anche se commettono i genocidi.”-
-“ Hei Luciano, “- aggiunge Bruno, oggi hai proprio deciso di essere virale… Pero’… “Quando ce vo’, ce vo’”, ma ora credo che dobbiamo lasciare continuare Andrea.”-
-“ Ok, dunque, quando la nave giunse a Singapore, le scorte di viveri erano completamente esaurite, percio’ venne caricato un certo quantitativo di carne e riso, che era del tutto insufficiente al numero di persone da nutrire. Per peggiorare la situazione, durante la traversata del Mar Rosso sei bambini morirono, nonostante le cure del Dr. Goyon, quindi mori’ anche Roder Lucietta in Buoro, seguita da altri tre bambini al di sotto dei due anni. Poiche’ anche le macchine del funzionamento della nave, davano segni di totale collasso, tra i coloni furono evidenti i sintomi per causare una rivolta generale, quando si vide la sagoma della terra, apparire in lontananza e tutto si calmo’. Il 14 Ottobre 1880, la nave fece la sua entrata nella baia di Port Breton. La visione che li colpi’, fu allucinante: il Genil che si dondolava sulle onde della baia, come una nave abbandonata, mentre l’estrema aridita’ del terreno su cui avrebbero dovuto ammarare, mostrava solo una totale desolazione. Davanti ai loro occhi sbarrati, anziche’ una bella citta’, si profilavano le minacciose, impenetrabili foreste tropicali, che si estendevano sui pendii irti, discendenti dall’alta vetta di Monte Vernon. Dev’essere stata, senza dubbio, una visione infernale, pressoche’ apocalittica, poiche’anche il cielo coperto di nubi nere e gigantesche stava stendendo un manto di lutto su tutta la scena.
Seguendo alla lettera le istruzioni del De Rays, il nuovo governatore della colonia, Le Prevost, insceno’ la solita cerimoniosa pagliacciata per prendere possesso di Port Breton, che non impressiono’ nessuno. Infatti, i coloni italiani si erano ormai resi conto che “Il Paradiso del Pacifico” era stato solo un sogno e che il Marchese li aveva truffati nel modo piu’ vile, derubandoli di tutti i loro risparmi.
Chiesero spiegazioni, giustificazioni… Volevano sapere dov’erano sparite le case, le fertili campagne, la citta’ moderna per cui avevano pagato con i risparmi sudati di tutta la loro vita.
Nessuna delle promesse del manifesto era stata mantenuta e, come gia’ era successo con il Chandernagor, i coloni si trovavano tutti li’, ammucchiati su quello stretto lembo di spiaggia inospitale, con alle spalle quel muro gigantesco di foresta vergine, dov’erano in agguato i famigerati “tagliatori di teste”. I viveri erano insuffucienti e lo spettro della morte divenne, per tutti loro, un’ossessionante realta’ .
Nonostante la debolezza e l’esaurimento, i loro spiriti fremevano di rabbia, indignazione e disgusto incontenibili. A questo punto, si trattava di essere uniti e di trovare una via d’uscita al piu’ presto, altrimenti sarebbe stata la fine per tutti.
Intanto Liki-Liki era stata abbandonata completamente, ed il Farrell s’era impossessato di tutto cio’ che il Chandernagor e l’Emily avevano lasciato sul posto. Ormai non v’era piu’ nessuna traccia del passaggio dei coloni delle precedenti spedizioni.
A Port Breton venne scaricato dall’ India, un capannone prefabbricato, a due piani, che venne eretto dai coloni italiani, su un’altura, al fondo della baia. Per lungo tempo, questa fu l’unica costruzione di Port Breton.
Dopo alcuni giorni di esperimenti, il Dr. Goyon, dichiaro’ che il luogo era insalubre e non adatto alla vita umana. E’ da notare che il Marchese non aveva nemmeno provveduto a fornire scorte di Chinino, contro la malaria, che contava la maggior parte delle vittime. Inoltre, le piogge tropicali, che cadevano in continuazione, non lasciavano spazio per nessun tipo di coltivazione e, per gli sventurati coloni sbarcati dalla nave India, come per quelli della Chandernagor, la situazione andava peggiorando di giorno in giorno. percio’ il Comandante Le Prevost decise di partire per Sydney, accompagnato dal sacerdote Lanuzel, per chiedere soccorso. Partirono a bordo del Genil, ritenuto piu’ veloce.
Il comando a Port Breton fu affidato al capitano Leroy, durante l’assenza del Prevost, che assicuro’ essere di ritorno entro 50 giorni, ma mentre i giorni passavano, il numero dei morti cresceva e due di loro, che s’inoltrarono nella foresta in cerca di selvaggina, non fecero piu’ ritorno, percio’, si ritiene siano caduti nelle pentole dei “Tagliatori di teste”. “-
Antonio, che aveva a stento, trattenuto il suo disgusto durante il racconto, sbotta con disprezzo:-“ Peccato che il Marchese si trovi gia’ sicuramente all’inferno, altrimenti, mi sarebbe proprio piaciuto sputargli in faccia.”-
-“ Eh, caro Antonio, “- dice Andrea, -“penso proprio che le famiglie di tutti quei coloni morti, avrebbero voluto fare molto peggio, che non solo sputargli in faccia.
La lista dei coloni morti a Port Breton, sembra quella dei caduti in un campo di battaglia, infatti dal loro arrivo in quella terra maledetta, erano ormai decedute 18 persone. “-
Antonio rispondendo al telefonino, si alza dicendo: -“scusate ma io devo andare perche’ Maria mi fa sapere che la pasta e’ pronta, pero’ non vedo l’ora di sentire come va a finire questa storia, percio’ vi prego di farmi sapere quando sara’ il nostro prossimo incontro.”- Anche gli altri si alzano e si congedano.
Zzzzzzzzzzz Io, se penso alle cose che ho appena sentito, mi sento gelare, percio’, e’ meglio cambiare argomento Zzzzzzzzzzzzzz E perche’ non farci una bella risata?Zzzz
“ Un paziente viene visitato dal medico, durante la visita, il medico viene avvicinato dalla sua segretaria, che sembra molto preoccupata. Il medico le chiede come mai e la segretaria risponde con veemenza: E’ un caso gravissimo, dottore; questo paziente non ha un soldo! Zzzzzzzzzzzzzzzzzz Prossimamente qui. Ciaoooo. Zzzzzzzzzzzzzzzzzz
