Storia della Costituzione Italiana

Lo Stato italiano nasce, da un punto di vista istituzionale, con la legge del 17 marzo 1861 che attribuisce a Vittorio Emanuele II, “re di Sardegna”, e ai suoi successori, il titolo di “re d’Italia”. 

È la nascita giuridica di uno Stato italiano, anche se altri stati avevano già portato tale nome nel passato, dal regno longobardo per finire al regno napoleonico. 

La continuità tra il Regno di Sardegna e quello d’Italia è normalmente sostenuta in base all’estensione dell’applicazione della sua legge fondamentale, lo Statuto albertino, concesso da Carlo Alberto di Savoia nel 1848 a tutti i territori del regno d’Italia, progressivamente annessi al regno sabaudo nel corso delle guerre d’indipendenza. La conservazione dell’ordinale dinastico da parte di Vittorio Emanuele e l’estensione dello Statuto albertino ai territori annessi hanno portato gli storici a parlare di “piemontesizzazione” dello stato italiano ad opera dei Savoia. 

Lo statuto albertino rimase in vigore, quindi, quasi 100 anni, dal 4 marzo 1848 al 1 gennaio 1948, momento storico in cui entrò in vigore la costituzione repubblicana.

Lo Statuto albertino fu simile alle altre costituzioni rivoluzionarie vigenti nel 1848 e rese l’Italia una monarchia costituzionale, con concessioni di poteri al popolo su base rappresentativa. 

Era una tipica costituzione “ottriata”, ossia concessa dal sovrano e, da un punto di vista giuridico, si caratterizzava per la sua natura “flessibile”, ossia derogabile ed integrabile in forza di atto legislativo ordinario. 

Poco tempo dopo la sua entrata in vigore, proprio a causa della sua flessibilità, fu possibile portare l’Italia da una forma di monarchia costituzionale pura a quella di monarchia parlamentare, sul modello tradizionale di operare delle istituzioni inglesi, benché il potere esecutivo fosse detenuto completamente dal re, sempre più spesso il Consiglio dei ministri rifiutò di restare in carica quando non gradito alla camera elettiva. 

Il primo Parlamento dello Stato unitario, all’inizio del 1861, si compose con un suffragio elettorale ristretto al 3% della popolazione; nel 1882 il diritto di voto fu portato al 7% della popolazione, con riforme nel 1912 e 1918 il diritto fu esteso fino a una forma di suffragio universale per la popolazione di genere maschile.

Anche a causa della mancanza di rigidità dello Statuto, col giungere del fascismo, lo Stato fu deviato verso un regime autoritario dove le forme di libertà pubblica fin qui garantite furono stravolte: le opposizioni vennero bloccate o eliminate, la Camera dei deputati fu abolita e sostituita dalla “Camera dei fasci e delle corporazioni”.

Il diritto di voto fu cancellato; diritti, come quello di riunione e di libertà di stampa, furono piegati in garanzia dello Stato fascista, mentre il partito unico fascista non funzionò come strumento di partecipazione, bensì come strumento di intruppamento della società civile e di mobilitazione politica pilotata dall’alto. 

I rapporti con la Chiesa cattolica vennero invece sanati e rinsaldati tramite i Patti Lateranensi del 1929, che ristabilirono ampie relazioni politico-diplomatiche tra la Santa Sede e lo Stato italiano. 

Il 25 luglio 1943, Benito Mussolini già capo del partito fascista, perse il potere, il re Vittorio Emanuele III nominò il maresciallo Pietro Badoglio per presiedere un governo che ripristinò, in parte, le libertà dello statuto. Iniziò così il cosiddetto “regime transitorio”, di cinque anni, che terminò con l’entrata in vigore della nuova Costituzione e le successive elezioni politiche dell’aprile 1948. 

Con il progredire e il delinearsi della situazione, con i partiti antifascisti che iniziavano ad entrare nel governo, non fu possibile al re di riproporre uno Statuto albertino eventualmente modificato e la stessa monarchia, giudicata compromessa con il precedente regime, fu messa in discussione. 

La divergenza, in clima ancora bellico, trovò una soluzione temporanea, una “tregua istituzionale”, in cui si stabiliva: la necessità di trasferire i poteri del re al figlio, il quale doveva assumere la carica provvisoria di luogotenente del regno, mettendo da parte la questione istituzionale; quindi la convocazione di un’Assemblea Costituente incaricata di scrivere una nuova Carta Costituzionale, eletta a suffragio universale (giugno 1944). 

Fu poi esteso il diritto di voto alle donne (febbraio 1945) e, ormai raggiunto il silenzio delle armi, fu indetto il referendum per la scelta fra monarchia e repubblica (marzo 1946).

Be the first to comment

Leave a Reply

Your email address will not be published.


*