C’era la commissione… poi venne lo sfacelo!

La riforma dell’editoria e il pluralismo dell’informazione

Con l’entrata in vigore della Legge 198/2016, l’Italia si è dotata di un fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione al fine di poter elargire dei contributi diretti anche alle imprese editrici di testate in lingua italiana edite e diffuse all’estero, sopprimendo lo strumento della commissione tecnica di valutazione delle pubblicazioni e rimandando ai consoli e ai Com. It.Es. il ruolo di attestazione di alcuni requisiti per l’accesso ai contributi.

Alcuni recenti episodi in America Latina e in Australia hanno però dimostrato le criticità legate alla soppressione della commissione tecnica, avente il nuovo schema normativo potenziato le competenze decisionali di singoli pubblici ufficiali e dei rappresentanti dei Com.It.Es, senza le sufficienti salvaguardie per eventuali soggetti danneggiati da attestazioni alla cui base prevalgono fini politici o personalistici.

La ragione di una nuova legge, auspicata anche dalle parti sociali interessate, mirava al triplice scopo di “incentivare l’innovazione dell’offerta informativa”, sostenere “lo sviluppo di nuove imprese editrici”, nonché “assicurare la piena attuazione dei principi di cui all’articolo 21 della Costituzione”. I padri costituenti vollero assicurare che finita la dittatura fascista, a “tutti” fosse garantito “il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”

La norma sull’editoria, riformando la vecchia legge del 1981, veniva anche concepita in sintonia con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea sottoscritta dall’Italia nel 2016, la quale riconosce “la libertà di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.”

La soppressione della commissione per la stampa estera

Nel 2016, durante l’iter legislativo, un esteso rapporto del Servizio Studi della Camera dei Deputati dal titolo “Ridefinizione della disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici” ha evidenziato come lo schema della nuova normativa abbia incamerato i principi giuridici di un “ineludibile imperativo costituzionale”, il “pluralismo dell’informazione”, al fine di “impedire processi di concentrazione di risorse tecniche ed economiche nelle mani di uno o pochi”. Nel nuovo testo, però, viene meno il ruolo della commissione tecnica incaricata di accertare la sussistenza dei requisiti di ammissione ai contributi e di deliberarne la liquidazione e della parallela commissione per la stampa italiana all’estero.

Quest’ultima commissione era composta da rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero degli Affari Esteri, nonché da membri del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, della Federazione Unitaria della Stampa Italiana all’Estero (FUSIE), della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) e della Consulta Nazionale delle Associazioni di Emigrazione (CNAE). Non vi erano costi di alcun tipo per la finanza pubblica per il funzionamento della Commissione.

Ma da dove è partita la decisione di sopprimere la Commissione tecnico consultiva? Il contributo della I Commissione Informazione e Comunicazione alla “Relazione al Parlamento del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero per gli anni 2017 e 2018”, riporta “un’interlocuzione” tra il CGIE e i dirigenti del Dipartimento dell’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri in cui viene indicato che “gli esponenti hanno detto che da parte loro non c’è stata nessuna indicazione, ritenendo di aver tratto beneficio dallo scambio di pareri espressi durante riunioni di detta commissione”. Quindi possiamo escludere che siano stati i burocrati ministeriali a volerne la soppressione, possibilmente c’entra la politica.

La soppressione della Commissione avrebbe evitato “possibili conflitti di interesse o situazioni di incompatibilità con i partecipanti alla Commissione stessa che, in alcuni casi, sono anche gli editori delle testate per le quali si richiede il contributo.” Mentre la commissione per i quotidiani e periodici editi e diffusi in Italia era costituita da 25 membri, in larga parte rappresentati delle testate, lo stesso non si poteva dire per la Commissione per la stampa estera, composta per lo più da dipendenti dei ministeri e membri di organi di sottogoverno, tra i quali il CGIE e il CNAE. A rappresentare le testate rimaneva solo la FUSIE.

Secondo il rapporto parlamentare, nella riforma del 2016 l’organo della commissione “non è più previsto poiché è venuto meno uno dei suoi compiti principali, vale a dire la valutazione, da parte dei componenti, dei contenuti delle riviste.” A chi spetti la valutazione dei contenuti è un aspetto cardine di questa incresciosa vicenda, che visiteremo più avanti in questo articolo con maggiore dettaglio.

Se non altro, la prima ragione – quella del conflitto di interesse – indicata con più forza per la soppressione della Commissione per la Stampa Estera dimostra con quanta superficialità e pochezza vengano affrontate le questioni relative agli italiani all’estero. In varie occasioni, sin da quando è entrata in vigore la nuova legge, il CGIE ha richiesto che venga riesumata la commissione tecnico-consultiva. Una strada che eviti il processo legislativo, che si potrebbe tentare di percorrere interessa direttamente il Sottosegretario della Presidenza del Consiglio, il quale, in materia di editoria e informazione, è autorizzato a “costituire commissioni di studio e consulenza e gruppi di lavoro” all’interno del proprio ambito di delega. Chissà che qualcuno non voglia approfondire questa opzione.

Maggiori poteri a Com.It.Es. e Consoli

Sempre secondo la relazione parlamentare, l’intento della nuova legge era di “attuare una revisione e semplificazione dei procedimenti,” sopprimendo la commissione tecnica, avuto riguardo anche “agli apporti istruttori demandati ad organismi esterni alla Presidenza del Consiglio dei ministri.”

E di questi “apporti istruttori”, nello specifico del ruolo dei Consolati di prima categoria e del Com.It.Es. che è ora necessario aprire un confronto, anche a seguito dopo i fatti accaduti a Montevideo in Uruguay e a Sydney in Australia.

Per farla breve, il Com.It.Es. deve dichiarare tre cose: se il giornale esce, se è nelle edicole e se è scritto prevalentemente in lingua italiana per almeno il 50%. Il Capo dell’ufficio consolare deve attestare la diffusione della testata presso la comunità italiana e la rilevanza della funzione informativa per la promozione del sistema Paese e della lingua e cultura italiana. Di altri compiti dei Com.It.Es. o dei consoli – soprattutto per quanto riguarda i contenuti delle testate – nella legge non si parla, ma i due casi dimostrano che i limiti normativi non vengono rispettati. Per quale motivo? Nessuno lo sa e pur sapendolo non sembra fare nulla di concreto per mettere fine a tristi episodi.

Il caso “La Gente d’Italia” a Montevideo

Partiamo da La Gente d’Italia. Fondato a Miami nel 1999 per volere di Maria Josette Caprio e Domenico Porpiglia, il giornale “La Gente d’Italia – Cronache degli italiani dal mondo” si trasferisce a Montevideo e diventa quotidiano nel 2003. Da allora viene pubblicato regolarmente e nel 2018, con un salto di qualità, approda nelle edicole uruguaiane insieme al quotidiano El País, rinnovandosi nei contenuti e nella grafica, con 16 pagine a colori, più notizie, servizi dall’Italia e dal mondo.

Nel 2022, come ogni anno, la redazione della testata italo-uruguaiana fa domanda per i contributi erogati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’anno precedente. Arrivata la richiesta al Com.It.Es di Montevideo, presieduto da Aldo Lamorte, membro del parlamento uruguaiano e locale rappresentante del partito MAIE, il parere risulta essere negativo sulla base di “critiche alla linea editoriale portata avanti dal giornale”.

Per il Senatore del Partito Democratico, On. Fabio Porta, nella sua interrogazione urgente al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, le “gravi ingerenze” del Com.It.Es. di Montevideo sono evidenti. “Il parere espresso non fa alcun riferimento agli elementi oggettivi dell’esistenza del quotidiano e dello sviluppo della sua attività editoriale e in conformità con i parametri fissati dall’Amministrazione centrale, ma tutto il suo contenuto – letteralmente dalla prima all’ultima parola – si concentra sulla linea editoriale del quotidiano, sulla quale lancia una serie di note critiche che, alla fine, assumere la forma di una sentenza senza appello”. Porta invita quindi il Ministro ad adoperarsi affinché “ci sia, da parte degli organi preposti a tali decisioni, una valutazione più connessa all’obiettività dei fatti e all’attività che il quotidiano effettivamente svolge”.

L’attestazione dell’Ambasciatore in Uruguay, Dott. Giovanni Battista Iannuzzi, oltre a rilevare che la testata pubblica quotidianamente “solo attraverso un accordo di stampa e distribuzione con il quotidiano El Pais, che conta la maggiore tiratura nel Paese”, aggiunge che questo non avrebbe consentito “una scelta di acquisto separato”, né “una vendita libera e autonoma a vantaggio della collettività italiana”, né “una valutazione delle scelte da parte del lettore”, e ne “deriva che non è rilevabile né misurabile la penetrazione nella Collettività”.

In più, La Gente d’Italia viene accusata di “divisività e noncuranza verso le Associazioni”,“toni minacciosi o allusivi fondati su dati irrazionali e informazioni imprecise o incomplete” e che “questo impianto denigratorio si è esteso anche a danno degli interessi imprenditoriali e della reputazione delle altre testate giornalistiche”.

Come ha ricordato la redazione, in un articolo indirizzato all’Ambasciatore, “al Comites non piace la linea editoriale del giornale. E questo ci dispiace. Magari possiamo organizzare tutti i giorni una riunione di redazione con i dieci referenti di questo Comitato e farci dire cosa scrivere e cosa no. Perché no? Possiamo dire quanto è bravo il presidente, quanto è bello il presidente e quanto sono solerti i consiglieri… Ma scherziamo o cosa? Queste persone sanno di cosa stanno parlando? Per loro si tratta di un gioco o di una cosa poco seria?” A seguito del parere negativo di Comites e Ambasciata, La Gente d’Italia ha sospeso le pubblicazioni in forma cartacea, dedicandosi ad una maggiore presenza online finché non sia possibile ricevere i contributi necessari per un ritorno nelle edicole.

Di tutta questa faccenda, ne ha recentemente fatto un sunto anche la Vice-Presidente del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, Silvana Mangione, suggerendo che “se fosse ancora esistita, la Commissione Nazionale sull’Editoria avrebbe per esempio immediatamente determinato l’illegittimità del parere del Com. It.Es. di Montevideo, che viola precise indicazioni di legge ed è chiaramente ispirato e imposto dall’allora Presidente.”

E forse sarebbe opportuno evidenziare come, dopo l’invio di una lettera che chiedeva all’Ambasciata d’Italia in Uruguay di convocare il Com.It.Es. di Montevideo per riesaminare l’avvenuto parere contrario, a dire dell’Ambasciatore Iannuzzi, il Dipartimento dell’Editoria della Presidenza del Consiglio avrebbe dovuto “giudicare, nelle sue competenze” se “il parere…viola la legge.”

Questo aspetto non trova alcun riscontro nelle memorie di difesa avanzate dello stesso Dipartimento per il secondo caso, quello relativo ai contributi negati al settimanale Allora! edito a Sydney, che ora vogliamo analizzare più da vicino nella prossima pagina…

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