Di Emanuele Esposito
L’economia australiana vive una fase paradossale: non arretra, ma nemmeno avanza. I numeri parlano chiaro: il PIL cresce appena dello 0,2% a trimestre e dell’1,3% su base annua, ma il dato pro capite cala. In pratica, il Paese cresce, ma i cittadini no. Inflazione e tassi elevati spingono le famiglie a risparmiare anziché spendere, mentre la spesa pubblica ristagna e gli shock climatici colpiscono turismo, miniere e logistica.
Il vero tallone d’Achille è la produttività, ferma da un decennio: mentre altre economie avanzate hanno visto crescere il tenore di vita del 22%, l’Australia si è fermata a un modesto 1,5%. A mascherare il problema sono stati materie prime e immigrazione, ma oggi non bastano più.
La sfida è trasferire tecnologie digitali e intelligenza artificiale ai servizi, che dominano l’economia. Ma la politica, più attenta agli annunci che alle riforme strutturali, preferisce incentivi episodici e sollievi fiscali. Così il sistema fiscale resta un freno: imposte distorsive sulle case e redditi pesano, mentre una GST ampliata o una moderna tassa fondiaria sarebbero più efficienti.
Il futuro si gioca su due fronti: abitazioni accessibili e transizione energetica. L’alternativa è rompere la stagnazione con riforme che liberino produttività, mobilità e capitale.
