CGIE-MAECI: Le leggi le interpretino i giudici, non i capo ufficio

Il CGIE sembra ancora una volta cadere nello stesso tranello e si rivolge al Ministero degli Affari Esteri per ottenere “chiarimenti importanti sulle questioni di eleggibilità e di candidabilità alle elezioni Com.It.Es.” Grave errore, questo, potremmo ben dire, che continua a creare confusione per gli italiani nel mondo, e forse, siamo proprio giunti al capolinea dell’indifferenza proprio perché invece di intercedere presso i canali parlamentari e giudiziari, gli organismi di rappresentanza come Com.It.Es. e CGIE danno adito ai burocrati di sentenziare su quali siano le corrette interpretazioni normative.

Non intendo sminuire certo il lavoro del Segretario Generale del CGIE, Michele Schiavone, che anzi ritengo personalità che ha anche saputo in più occasioni andare contro corrente, cercando di incentrare il dibattito sulle elezioni per il rinnovo dei Com.It.Es. in un’ottica di massima rappresentatività. Al contempo, pero, non si può certo negare la miopia di un CGIE che chiede al Direttore della DGIT Luigi Maria Vignali o a due capi ufficio del Ministero degli Affari Esteri di esprimere pareri normativi, che possano fare emergere “nuovi elementi di risposta” al fine di “estenderli agli attuali Com.It.Es. [e] metterli a conoscenza delle Sedi consolari all’estero per un adeguamento.”

Ancora più inappropriata la risposta degli interessati burocrati, visto che da parte di questi ultimi “appare chiaro” il tentativo di voler azzardare una pericolosa commistione incostituzionale tra potere esecutivo e giudiziario. In Italia, come nelle democrazie parlamentari, il potere dello stato è diviso tra il ramo del parlamento, incaricato di fare le leggi; il potere esecutivo, che comprende il governo e i ministeri, che applicano le leggi, e infine la magistratura, a cui spetta il ruolo interpretativo. Quando uno di questi poteri sconfina nell’ambito dell’altro, purtroppo, lo stato va in crisi e i cittadini soffrono le conseguenze di quello che generalmente si chiama ‘abuso di potere.’

E di fatti, anche in questo scambio di richieste tra il CGIE e il Ministero non mancano certi assolutismi che vanno ben oltre il compito esecutivo e di gestione di un ufficio pubblico, quando si inviano documenti ministeriali contenenti affermazioni più adatte ad un giudice amministrativo che al dipendente pubblico. L’esempio lampante è nella nota congiunta De Vita-Darchini dove si legge addirittura la frase: “appare dunque chiaro che il legislatore si stia evidentemente riferendo a…” Ma da quando in qua un dipendente pubblico si può arrogare il diritto di poter dire quali siano o meno le intenzioni del parlamento? Viene proprio da dire: E che, c’ho scritto Jo Condor!

Fin quando gli organi di rappresentanza degli italiani all’estero sceglieranno di affidarsi ai burocrati per quesiti che sono di natura giudiziaria, questo non potrà che alzare l’ennesimo polverone e creare inutili confusioni, non solo per le elezioni di rinnovo dei Com.It.Es. o le questioni martoriate dell’eleggibilità di membri che vi stanno da 30 anni e che da tempo hanno superato la soglia dei due mandati previsti dalla legge, ma anche per quei pochi diritti faticosamente guadagnati in sede parlamentare. 

Non per ultimo, si consideri la farsa delle recenti e disastrose Circolari Ministeriali n.2 e n.3 del 2020 e l’anomalia dei bilanci preventivi degli Enti Gestori che non sono più soggetti al parere dei Com.It.Es., ovvero – all’atto pratico – non è più possibile accertare la reale necessità e l’impatto di contributi per centinaia di migliaia di euro a favore della lingua e della cultura italiana sulle collettività italiane all’estero.

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